Il calcio come metafora della vita

Camus diceva che un campo di calcio è un microcosmo della vita stessa: imprevedibile, collettivo, a volte crudele, a volte sublime, ma sempre, sempre degno di essere vissuto fino all'ultimo istante.

Per Pasolini il calcio era una rappresentazione sacra, lo vedeva come un linguaggio poetico, come un “sistema di segni”.

Effettivamente il calcio può essere visto come una grande metafora. Pensiamoci.

La partita inizia con un fischio. Proprio come la nostra esistenza, che comincia improvvisamente. Ci troviamo sul campo, già in gioco. Il pallone rotola ed è come la fortuna nella vita, che segue traiettorie che possiamo cercare di calcolare ma mai controllare completamente.

Il portiere è il custode delle nostre paure e speranze. Sempre pronto a parare l'imprevisto, rappresenta la nostra capacità di affrontare le difficoltà con determinazione e lucidità.

I difensori sono i nostri principi e valori. Proteggono ciò che è importante, affrontano le sfide con coraggio e spesso sono invisibili, ma essenziali per mantenere l'equilibrio.

I centrocampisti incarnano la nostra capacità di adattamento e comunicazione. Connessi con tutti, orchestrano le azioni, bilanciando attacco e difesa, proprio come noi bilanciamo emozioni, pensieri e relazioni.

Gli attaccanti sono i nostri sogni e ambizioni. Spingono sempre in avanti, cercando di realizzare ciò che desideriamo, ma senza il supporto degli altri ruoli, il loro slancio rimarrebbe vano.

L'allenatore è la nostra weltanschauung. Guida la squadra, prende decisioni strategiche e sa quando è il momento di cambiare direzione, proprio come noi nella nostra vita.

L'arbitro rappresenta il destino o le regole della società, a volte sembra giusto, altre volte ingiusto. Possiamo protestare, ma alla fine è lui che decide, e dobbiamo accettarlo.

I tifosi sono i testimoni della nostra vita, coloro che ci osservano, ci giudicano, ci sostengono o ci criticano. A volte la loro presenza ci dà forza, altre volte ci mette pressione.

Il tempo scorre inesorabile, scandito da un orologio che non possiamo fermare. I novanta minuti della nostra esistenza, che a volte sembrano eterni e altre volte troppo brevi.

Gli avversari non sono per forza nemici, ma ostacoli necessari che ci spingono a migliorare, a trovare nuove strategie, a reinventarci continuamente. Senza di loro, non ci sarebbe partita, non ci sarebbe crescita. A volte si segna, e la gioia è incontenibile. Altre volte si subisce un gol e si prova dolore. Ma la partita continua, implacabile, e bisogna rialzarsi, ritrovare la posizione, ricominciare a correre.

E alla fine, quando arriva il triplice fischio, ciò che conta non è solo il risultato sul tabellone, ma l’averci provato, l’aver giocato.

Nel calcio, come nella vita, ogni ruolo è interconnesso.

Il calcio ci insegna che, per navigare nella vita, per raggiungere degli obiettivi dobbiamo trovare le migliori strategie, gli equilibri e la giusta alchimia all'interno di noi.



McLuhan, estensioni ed amputazioni

Marshall McLuhan nel suo celebre testo "Gli strumenti del comunicare" sosteneva che ogni tecnologia rappresenta essenzialmente un prolungamento delle facoltà umane, fisiche o psichiche.

Secondo McLuhan, ogni mezzo tecnologico amplifica una particolare capacità umana: la ruota è un'estensione del piede, il telefono è un'estensione dell'orecchio, la televisione è un'estensione dell'occhio, i vestiti sono un'estensione della pelle, i computer sono un'estensione del sistema nervoso centrale ecc.

La sua visione considerava la tecnologia non come qualcosa di esterno a noi, ma come parte integrante della nostra evoluzione biologica e culturale. I mezzi tecnologici visti dunque non come semplici strumenti che utilizziamo, ma vere e proprie protesi che modificano il nostro modo di percepire e relazionarci con il mondo.

Vi è, secondo il sociologo canadese, però anche un fenomeno complementare, ovvero ogni estensione comporta un' "amputazione". Quando adottiamo una nuova tecnologia, deleghiamo ad essa alcune nostre funzioni, rischiando di atrofizzarle, gli esempi che potremmo fare in tal senso sono molteplici.

Queste intuizioni di McLuhan oggi risuonano ancora più potenti, gli smartphone sono diventati estensioni della nostra memoria. La realtà virtuale estende le nostre percezioni sensoriali. L'intelligenza artificiale estende e amputa allo stesso tempo le nostre capacità cognitive.

Se McLuhan avesse potuto osservare il modo in cui oggi si vive costantemente connessi ai dispositivi, probabilmente avrebbe visto la conferma delle sue teorie. La sensazione di disagio quando si è senza smartphone (la cosiddetta “nomofobia”) può essere interpretata come la reazione a una temporanea "amputazione" di una parte ormai integrata di noi.

La visione di McLuhan ci offre una prospettiva profonda per comprendere il rapporto simbiotico che abbiamo sviluppato con la tecnologia. Non si tratta più di strumenti esterni che utilizziamo, ma di vere e proprie estensioni del nostro essere, che modificano il nostro modo di percepire e interagire con il mondo. Come suggeriva McLuhan, "prima plasmiamo i nostri strumenti, poi sono questi che ci plasmano".

Oggi che la distinzione tra umano e tecnologico diventa sempre più sfumata, il pensiero di McLuhan offre strumenti preziosi per cavalcare questa trasformazione con consapevolezza e intenzionalità.