Disagi relazionali e marketing

Parlando con persone sopra i quarant'anni emerge un disagio comune: la difficoltà crescente nel costruire relazioni autentiche. Non si tratta solo della normale complessità delle dinamiche affettive, ma di qualcosa di più profondo che sta cambiando il modo stesso di relazionarsi.

Oggi tutti vengono immediatamente catalogati: "È un narcisista", "Ha un attaccamento evitante", "È un manipolatore emotivo", "Ha traumi irrisolti". La psicologia pop, diffusa attraverso social e podcast, ha creato una società di diagnosi lampo dove bastano pochi segnali per archiviare una persona in una categoria problematica. La psicologia, vista come filtro costante che precede ogni incontro, trasforma la conoscenza dell'altro in un esercizio di individuazione dei difetti. Ci si approccia al prossimo non con curiosità ma con sospetto preventivo.

A quarant'anni molti portano con sé separazioni, delusioni, figli da precedenti relazioni. Sono esperienze che naturalmente generano prudenza, ma il clima culturale attuale amplifica questa diffidenza trasformandola in un muro difensivo quasi impenetrabile. La narrazione dominante invita costantemente a "proteggersi", a riconoscere le "red flag", a non abbassare mai la guardia. Il risultato? Persone che si avvicinano all'altro già in posizione difensiva, pronte a scappare al primo campanello d'allarme, reale o immaginato.

Che dire poi dei corsi per single, i coaching relazionali, i guru della seduzione che promettono di insegnare "tecniche" per conquistare. L'amore come una partita a scacchi dove applicare mosse studiate, schemi comportamentali, strategie di comunicazione calcolate per ottenere un risultato. Persone che provano ad apparire interessanti seguendo copioni, che dosano messaggi secondo tempistiche "ottimali", che nascondono vulnerabilità per paura di sembrare "bisognosi". Tutti cercano autenticità applicando tecniche di manipolazione, generando incontri artificiali dove nessuno si mostra davvero per quello che è. Il risultato: solitudine condivisa. Ci si ritrova con persone che desiderano profondamente una connessione autentica ma si avvicinano agli altri con diffidenza, armati di etichette diagnostiche e tecniche di seduzione, pronti a ritirarsi al primo segno di imperfezione.

Lasciare spazio alla vulnerabilità è ormai un rischio che in pochi sono disposti a correre.

Le relazioni si costruiscono nel tempo e non si conquistano con strategie. Il marketing attorno al mondo relazione è totale spazzatura.

Ipocrisia e mancette

Si parla molto di calo demografico come fenomeno culturale. Giusto, la questione è più ampia e non è solo economica, sappiamo bene che in altri tempi anche in povertà si sfornavano tanti figli ma parliamo di periodi differenti. Ora, evitiamo l'ipocrisia: fare figli non è diventato costoso in sé, ma garantire loro una vita al passo con ciò che richiede la società attuale sì. Non parliamo della mera sopravvivenza fisica – quella si arrangia sempre. Parliamo appunto della possibilità di esistere pienamente nella società contemporanea. E qui il problema è brutalmente materiale. Sanità, istruzione e sicurezza non sono terreno comune. Il meccanismo è semplice: la sanità pubblica collassa sotto liste d'attesa infinite, chi può paga quella privata. Le scuole pubbliche accumulano problemi – classi sovraffollate, strutture fatiscenti, piene di immigrati con disagi – e chi può sceglie il privato. Stessa logica per sport, lingue, attività extrascolastiche: chi ha risorse moltiplica le opportunità dei figli, chi non le ha resta fermo. Il pubblico, svuotato di risorse, diventa il residuo per chi "non può permettersi altro" - una sorta di limbo civico dove si accumula il disagio sociale ed economico. E questo crea un circolo vizioso: le famiglie con mezzi fuggono verso il privato, il pubblico perde ulteriore qualità, attraendo solo chi non ha alternative, degradandosi ancora. Il risultato? Si nasce cittadini di serie A, B o C, a seconda del conto in banca dei genitori. Le possibilità di vita sono determinate alla nascita dal patrimonio familiare. Dove sarebbe la fantomatica uguaglianza democratica in tutto questo? Se il destino di un bambino dipende dal portafoglio di chi lo genera, in che senso siamo ancora una comunità politica? Questa non è meritocrazia: è un sistema di caste economiche mascherato. Fare figli nella società attuale diventa così un azzardo economico, un investimento ventennale che richiede capitale considerevole. E tutto questo è voluto, non è certo casuale. Hanno ridotto la possibilità di fare figli in privilegio economico. Fingono di interessarsi al calo demografico tentando soluzioni grottesche con bonus e mancette. Sappiamo tutti che è solamente fumo negli occhi, la vita costa, non è qualche cento euro in più che risolve. Vi è oggi un'oggettiva impossibilità materiale di garantire ai figli una vita "normale" senza impoverirsi. Poi certamente tutto si può fare, esistono vie alternative che si possono percorrere, ma in linea generale la situazione è quella delineata.