Da diversi anni gli studenti sono sottoposti, al secondo ed al quinto anno
della scuola primaria, in terza media ed al secondo e quinto anno delle
superiori, a sostenere le prove INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione
del sistema dell’istruzione). Questo ente, che dal 2016 fa parte del Sistema
statistico nazionale, ha il compito di somministrare prove di Italiano,
Matematica e Inglese volte a rilevare il livello degli apprendimenti degli
studenti, per poi confrontarli su scala europea.
Il volto delle prove INVALSI è drasticamente mutato dal 2006, anno in cui
furono somministrate per la prima volta: da strumento anonimo di valutazione
delle scuole, a test psicometrico di profilazione degli studenti. Come spesso
accade, le novità sono introdotte mettendone in luce i vantaggi, le comodità, i
lodevoli scopi; poi, col tempo, emerge che esse nascondano altri obiettivi,
secondi fini, ma intanto il loro utilizzo è entrato, come si sperava, a regime.
E lo stesso è accaduto con le prove INVALSI, cavallo di Troia per estorcere, si
capisce, dolcemente, le informazioni con la complicità di Dirigenti scolastici
e docenti creduloni, a studenti ignari. Così le prove che erano –
ovviamente! – anonime (peccato che ad ogni studente sia associato un
codice, pertanto basta risalire all’accoppiata per svelare l’identità
dell’alunno), repentinamente diventano strumento di valutazione dell’alunno i
cui risultati confluiranno sul portfolio personale della Piattaforma Unica.
Quest’ultima, altra trovata del Ministero, raccoglie il ‘’percorso di
crescita’’ degli alunni ‘’per aiutarli a fare scelte consapevoli e a coltivare
e far emergere i loro talenti’’. Viene già da ridere leggendo le prime righe di
presentazione sul sito. Quando si gioca sporco, si sa, col tempo si diventa più
protervi. Ed ecco che all’interno delle prove INVALSI, oltre ai quesiti delle
varie discipline, vengono inserite domande circa il numero approssimativo di
libri presenti in casa; il numero di automobili della famiglia; il titolo di
studio ed il tipo di impiego dei genitori. Ora, perché rinunciare ad una forma
di arricchimento come quella rappresentata dalla vendita dei dati, dal momento
che questi sono il ‘nuovo petrolio’? Facendo qualche ricerca, sembra
impossibile risalire al trattamento dei dati personali. Si tratta di un sistema
di scatole cinesi in cui ciascun ente rimanda al Regolamento europeo sulla
privacy, da cui non si riesce a capire che fine fanno i dati raccolti. Riesce
difficile immaginare che i dati servano solo a tracciare un quadro nazionale
del livello di istruzione. Questi dati sono preziosissimi. Non solo perché
rappresenteranno il percorso evolutivo dello studente (dalle scuole elementari
fino all’università) che sarà consultabile dalle stesse università o da futuri
datori di lavoro, ma perché si può desumere il quadro cognitivo del singolo
studente. Le prove INVALSI sono strutturate come un test psicometrico per la
misurazione del Q.I. perché i quesiti rispecchiano scale verbali e scale di
performance. I risultati potrebbero essere utilizzati a scopo predittivo,
quindi per supporre la collocazione sociale del soggetto, di fatto per
stabilire le sue opportunità di vita.
I risultati degli INVALSI infine, sono inappellabili, perciò gli studenti non
potranno né visionare gli errori fatti, né potranno ripetere le prove – della
durata di sole 2 ore e corrette da un algoritmo – se queste fossero
andate male (non è detto infatti che durante la prova l’alunno sia in buono
stato psico-fisico).
Lo scorso anno sono stati “coinvolti” 2,5 milioni di studenti, o bisognerebbe
dire “ricattati”? Gli alunni delle classi quinte sono obbligati a fare gli
INVALSI, pena la non ammissione all’Esame di Stato.
Stupisce che gli studenti accettino passivamente di svolgere queste prove,
forse ne ignorano il vero fine, per ingenuità o indolenza non si pongono il
dubbio, oppure dopo anni di scuola hanno interiorizzato il ruolo di sudditi.
AM