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Il sacro

La percezione del sacro precede l’esistenza della società: è un’inclinazione dell’essere umano riuscire a riconoscere la trascendenza, una dimensione metafisica che va oltre l’immanenza. La dimensione del sacro si irradia dalla natura, fitto intreccio di equilibri sistemici di cui l’individuo non è che semplice ed effimera espressione. È sufficiente attraversare la natura per ‘sentire’ il respiro del cosmo, ambiente ordinato – non a caso il termine deriva dal greco kósmos, per l’appunto, ‘ordine’ – contrapposto al caos.
Lévy-Bruhl affermava che l’uomo primitivo avesse la capacità  di ‘sentire’ la trascendenza poiché i suoi processi psichici si basavano su un pensiero pre-logico, privo cioè di una struttura logica, lo strumento per pensare che Aristotele analizzò nell’Organon.
La psiche primitiva viveva un’unione mistica con la natura dove l’Io si fondeva con essa, senza opporre a sé un non-Io, un oggetto percepito; dunque il soggetto non si percepiva scisso rispetto alla realtà esterna, bensì partecipava contemporaneamente al naturale e al sovrannaturale. In assenza di una visione manichea della vita, il pensiero si sviluppava libero dalle regole della logica, libero dal principio di non-contraddizione, perciò era in grado di collocarsi in un contesto cosmico, in un punto fisso, il Centro del Mondo. In tale contesto tutto è e non-è simultaneamente; passato, presente e futuro coincidono. In questo stato mentale primitivo il sacro si rivela e turba l’animo umano, attraendolo e respingendolo, affascinandolo e spaventandolo.
Mircea Eliade scriveva che “il sacro è saturo d’essere”. Solo l’essere è sacro, è cifra dell’esistenza.
Il profano non può far parte dell’essere. L’essere è ciò a cui l’individuo tende, ciò di cui si va alla ricerca, per tutta la vita.
La rivelazione del sacro, per coloro che oggi ancora lo cercano, può dare la nausea. Quando si avverte ad un livello pre-razionale il non-senso dell’esistenza e si ha la certezza dell’ineffabilità del sacro, sovviene un senso di spaesamento nauseante. Si barcolla come dopo un pugno in faccia.
La maggioranza delle persone oggi fa a meno del sacro: si fugge dalla sensazione di nausea che sballotta la mente e ci si nasconde al centro commerciale, il nuovo ‘centro del mondo’, il tempio del consumo.

Tuttavia capita ancora di incontrare persone nei boschi che osservano le cime degli alberi, ne toccano i tronchi e godono del silenzio, dell’immensità e della sacralità della natura.


                                 AM


Nuova Yalta

Nell'ombra delle grandi manovre geopolitiche contemporanee, si profila uno scenario che ricorda la storica Conferenza di Yalta del 1945, ma con coordinate radicalmente diverse. Questa volta, l'oggetto della spartizione non è più il destino dell'Europa uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, bensì l'Europa stessa come entità geopolitica e strategica.

L'asse USA-BRICS sembra essere sempre più un tavolo di negoziazione dove vengono ridisegnati gli equilibri planetari. L'Europa, lungi dall'essere un attore protagonista, si sta trasformando nel principale terreno di confronto e compromesso tra le nuove potenze globali.

Da un lato abbiamo gli Stati Uniti che, consapevoli del proprio declino egemonico, cercano di preservare influenza e alleanze strategiche. L'Europa per loro rappresenta ancora un avamposto geopolitico cruciale, un baluardo contro la Russia e la crescente influenza cinese.

Dall’altro i Brics, un blocco sempre più coeso che include Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Questi paesi mirano a scardinare l'ordine internazionale guidato dall'Occidente, costruendo alleanze alternative e sfidando l'egemonia statunitense.

E poi c’è l’Europa, sempre più frammentata e priva di una vera sovranità strategica. Essa è il campo di battaglia diplomatico e economico tra questi nuovi equilibri globali.

L'ipotesi di una "Nuova Yalta" si costruisce sui seguenti assi:

- Distacco Energetico: l'Europa viene progressivamente sganciata dalle forniture energetiche tradizionali, con nuove rotte che bypassano i suoi interessi.

- Marginalizzazione Strategica: perdita progressiva di peso politico e capacità decisionale autonoma.

- Frammentazione Interna: divisioni che indeboliscono la capacità di risposta collettiva.

Quello che si profila non è tanto un accordo formale, quanto un tacito rimodellamento degli spazi di influenza. L'Europa è sempre più relegata a un ruolo di "cuscinetto" tra le grandi potenze, con la sua sovranità progressivamente erosa. E con gli attuali vertici non può che assumere il ruolo di oggetto, più che soggetto, delle dinamiche geopolitiche globali.

La "Nuova Yalta" non è ancora scritta. Ma i primi capitoli sembrano già tracciati, con il ruolo dell'Europa nel mondo in via di ridefinizione.

Una situazione geopolitica complessa che solleva più domande di quante non fornisca risposte definitive.



Resilienza

Resilienza: la parola feticcio dei nostri tempi, il mantra delle conferenze manageriali, il termine magico che trasforma l'oppressione in opportunità. Ci hanno convinto che essere "resilienti" sia la virtù suprema. La resilienza è diventata la foglia di fico perfetta per un sistema economico e sociale che scarica sugli individui responsabilità collettive. 

La resilienza nasce come concetto scientifico che descrive la capacità di un materiale di assorbire urti senza spezzarsi. In psicologia, indica la capacità di affrontare e superare eventi traumatici. Un concetto utile, legittimo. Ma cosa in cosa è stata trasformata oggi? In un imperativo morale, uno strumento retorico che colpevolizza chi non "rimbalza" abbastanza velocemente dalle difficoltà. "Sii resiliente!" è diventato il modo elegante per dire "arrangiati" e "non lamentarti". È il complemento perfetto a un'epoca di precarietà e incertezza Lavoro instabile? Sii resiliente. Stipendio inadeguato? Opportunità per dimostrare resilienza. Stress? Ti manca la resilienza. Questo abuso ha trasformato un concetto potenzialmente utile in uno strumento di controllo sociale. Non è più una qualità personale, ma un obbligo, un nuovo standard di produttività emotiva. La retorica della resilienza opera un ribaltamento perverso: trasforma problemi strutturali in deficit individuali. Se non riesci a sopravvivere in un sistema economico predatorio, il problema sei tu, la tua insufficiente resilienza. Anziché interrogarsi su come cambiare sistemi malati, ci si concentra su come adattarsi meglio ad essi. La resilienza diventa complice del mantenimento dello status quo. Si glorifica dunque la capacità di sopportare condizioni insostenibili, ma noi non siamo materiali da testare fino al punto di rottura. 

Diffidate di chi usa questo termine, la vera forza non sta nel piegarsi senza spezzarsi, ma nel dire "basta" quando è necessario. Non sta nell'adattarsi a sistemi ingiusti, ma nel cambiarli. WI