In uno dei suoi ultimi brani prima di morire, Giorgio Gaber cantava "l'importante è insegnare ai nostri figli quei valori che sembrano perduti, con il rischio di creare nuovi disperati".
Questo punto è oggi più che mai da focalizzare perché capita che nel tentativo di trasmettere valori autentici, si rischia paradossalmente di generare nuove forme di disperazione. In una società liquida dove i valori tradizionali appaiono logorati, frammentati, chi cerca di educare con principi profondi e coerenti può finire per "estraniare" i giovani.
La sfida non è di
isolare, ma di trovare un equilibrio e costruirsi una buona corazza, i valori
trasmessi possono avere efficacia solo se riescono a dialogare con il presente,
non se diventano relitti nostalgici. Chi tramanda principi rischia di apparire
"antiquato" e chi li riceve si sente inadeguato o fuori contesto. Se
il tutto viene proposto come dogma immutabile e non come percorso di crescita
in un mondo che viaggia velocissimo, il rischio è di generare proprio ciò che
si vorrebbe combattere: nuove forme di solitudine, inadeguatezza, disperazione
esistenziale. È una sfida educativa straordinariamente complessa: trasmettere
valori senza costruire nuovi recinti che generino disagio.