"Altissima povertà. Regole monastiche e forma
di vita" è un'opera importante di Giorgio Agamben, pubblicata nel 2011.
Il testo esplora il monachesimo occidentale come
laboratorio in cui si è sviluppata una peculiare concezione della vita in
relazione alla regola e alla legge.
Nel monastero, ogni aspetto dell'esistenza - dal
mangiare al pregare, dal lavorare al dormire - è parte di una liturgia totale.
Questa concezione rappresenta un tentativo di superare la distinzione tra vita
e norma, tra essere e dover-essere.
L'autore esplora il rapporto particolare che i
monaci instaurano con la regola monastica. Non si tratta di una semplice
normativa giuridica, ma di qualcosa che deve essere "vissuto" più che
"applicato". La regola monastica non è una legge esterna che si
impone alla vita, ma una forma che la vita stessa assume.
L'opera analizza la povertà non come semplice
rinuncia ai beni materiali, ma come forma di vita che mette in questione il
diritto stesso di proprietà e le strutture giuridiche occidentali. La
"altissima povertà" dei francescani diventa così un paradigma di
resistenza al potere costituito.
Il testo di Agamben risulta particolarmente attuale perché
offre strumenti per ripensare il rapporto tra vita e norme in un'epoca di
crescente giuridificazione dell'esistenza e perché suggerisce forme di
resistenza al biopotere contemporaneo attraverso la creazione di forme-di-vita
alternative.
L'opera si caratterizza per un'attenta analisi
filologica dei testi monastici medievali, un dialogo costante tra filosofia,
diritto e teologia. Trattasi di una scrittura densa ma precisa, che richiede
una lettura molto attenta, utile per ripensare il rapporto tra vita e norme e
per soffermarsi sui temi della resistenza al potere e delle forme di vita
alternative.
In definitiva "Altissima povertà" non è
una lettura semplice, ma offre strumenti preziosi per ripensare alcuni dei nodi
fondamentali della nostra contemporaneità attraverso un'originale rilettura
della tradizione monastica occidentale.