Uno dei maggiori ostacoli che oggi ci impedisce di
comprendere appieno le culture tradizionali o quelle società che ancora
mantengono caratteristiche non allineate con il paradigma "digitale",
è la convinzione che l'essere umano abbia sempre percepito e interpretato il
mondo attraverso gli stessi meccanismi cognitivi che caratterizzano l'individuo
contemporaneo medio. Un'assunzione, questa, profondamente errata.
Consideriamo, ad esempio, la percezione della realtà
attraverso gli schermi digitali. Oggi viviamo in uno stato di costante
mediazione tecnologica: la nostra esperienza del mondo è filtrata attraverso
dispositivi che traducono la realtà in pixel e dati. Questo ha portato molti a
considerare "reale" solo ciò che può essere quantificato,
digitalizzato o condiviso attraverso uno schermo. Tale prospettiva viene poi
retrospettivamente applicata all'interpretazione delle culture pre-digitali,
giudicando come "primitive" o "superstiziose" le loro
modalità di comprensione del mondo basate su esperienze dirette, rituali e
connessioni immediate con l'ambiente naturale.
Questo atteggiamento si manifesta particolarmente
quando si considerano fenomeni come la meditazione, le pratiche contemplative o
le esperienze di connessione profonda con la natura, che vengono spesso
liquidate come "irrazionali" o "non scientifiche". Ma è
davvero così? Prendiamo in esame l'esperienza della realtà virtuale. Quando
indossiamo un visore VR, viviamo un'esperienza che è simultaneamente
"irreale" nella sua natura digitale e "reale" nella sua
capacità di generare risposte fisiologiche e psicologiche autentiche.
L'immagine virtuale non è "vera" in senso materiale, ma la risposta
del nostro organismo ad essa lo è indiscutibilmente.
Questo parallelo ci aiuta a comprendere come nelle
culture tradizionali, la percezione diretta della realtà non mediata dalla
tecnologia potesse accedere a dimensioni dell'esperienza oggi largamente
dimenticate. L'individuo pre-moderno possedeva una capacità di percezione
integrata, dove i confini tra materiale e immateriale, visibile e invisibile,
erano più fluidi e permeabili. Questa modalità di conoscenza non era meno
valida della nostra comprensione tecno-scientifica: era semplicemente
sintonizzata su frequenze diverse dell'esperienza umana.
La chiave sta nel riconoscere che la realtà ha
molteplici livelli di manifestazione: quello quantificabile e misurabile
attraverso gli strumenti tecnologici rappresenta solo uno strato
dell'esperienza possibile. Come un'immagine digitale ha sia una struttura
binaria sottostante che una manifestazione visiva sulla superficie dello
schermo, così i fenomeni naturali possiedono sia una dimensione fisica
misurabile che una qualitativa esperibile attraverso modalità di percezione più
sottili.
Nelle società tradizionali, questa capacità di
percezione multidimensionale era coltivata e riconosciuta come una forma
legittima di conoscenza. I saggi, gli sciamani, i mistici non erano
semplicemente figure "pre-scientifiche", ma individui che avevano
sviluppato modalità di comprensione complementari a quelle che oggi
privilegiamo. La loro capacità di "vedere" oltre il velo della realtà
materiale non era un'illusione o una fantasia, ma una forma di intelligenza
ecologica profonda che permetteva una comprensione olistica dell'esistenza.
Risulta quindi riduttivo interpretare il patrimonio
simbolico, mitologico e spirituale delle culture tradizionali come una forma
"primitiva" di comprensione scientifica. Questi sistemi di conoscenza
operavano - e in alcune culture ancora operano - su un piano diverso ma non
meno valido di quello tecno-scientifico contemporaneo. Come la realtà virtuale
e aumentata oggi ci permettono di espandere la nostra percezione oltre i limiti
della materialità, così le pratiche tradizionali offrivano accesso a dimensioni
dell'esperienza che la nostra ossessione per la quantificazione e la
digitalizzazione rischia di oscurare definitivamente.
Superare questo pregiudizio tecnologico è essenziale
per recuperare una comprensione più ricca e sfumata non solo del nostro
passato, ma anche delle potenzialità ancora inesplorate della coscienza umana.
Solo così lo studio delle tradizioni ancestrali potrà trasformarsi da sterile
esercizio accademico in fonte di rinnovata saggezza per affrontare le sfide del
presente.