In un periodo in cui ormai la comicità italiana è
imbrigliata nei lacci del politically correct, Angelo Duro ha fatto
l'impossibile: riportare sul grande schermo parte di quella libertà espressiva
che sembrava ormai perduta. Il suo ultimo film, che non è certo un capolavoro,
rappresenta un ritorno a quella comicità senza compromessi che ha fatto la
storia del nostro cinema, oggi quasi impensabile. Sappiamo quanto sia diventato
difficile fare certi tipi di film e battute che negli anni '90 erano la norma. Il
clima culturale degli ultimi decenni è cambiato radicalmente, con una costante
pressione da parte di gruppi pronti a indignarsi per ogni battuta fuori dalle
righe. La genialità di Duro sta nell'aver trovato la chiave giusta: costruendo
il personaggio del cinico che odia tutto e tutti, ha creato uno spazio di
libertà dove può dire quello che altri non osano più pronunciare. Il suo essere
'politicamente scorretto' non è una posa, ma diventa parte integrante di un
personaggio che, proprio per la sua coerenza, risulta paradossalmente
inattaccabile. È riuscito dove altri hanno fallito: far ridere senza
autocensure in un'epoca dove sembra che ogni battuta debba passare al vaglio di
mille sensibilità diverse. Il suo successo dimostra quanto il pubblico sentisse
la mancanza di una comicità più diretta e meno annacquata, ricordando che far
ridere significa anche poter oltrepassare qualche confine. La sua formula ha
aperto una strada: essere così spudoratamente sopra le righe da rendere
impossibile qualsiasi accusa. Perché quando il tuo personaggio è
dichiaratamente contro tutto e tutti, nessuno può accusarti di prendertela con
qualcuno in particolare. Un successo che racconta molto del nostro tempo: da
una parte l'eccesso di politically correct che ha limitato la libertà creativa,
dall'altra la voglia del pubblico di liberarsi da questi vincoli attraverso una
risata liberatoria.