Essere circondati da alberi, camminare nel loro
silenzio, toccarne la corteccia e accarezzarne le fronde, riempie di benessere.
Creature solenni e altere, così distanti eppure così vicine, slanciate nella
trascendenza. Le loro chiome bucano il cielo, le radici affondano nella terra e
percorrono, avanzando nell’oscurità, metri e metri alla ricerca di sostanze
nutritive. Dell’albero percepiamo solo una parte del corpo, quando in realtà
sotto i nostri piedi vi è un intero mondo. Simbolo archetipico per Jung, ed in
virtù di ciò dicotomico, partecipa di ambienti fisici opposti: terra e aria;
buio e luce; umido e asciutto; sopra e sotto. Tali elementi complementari ne
bilanciano la struttura, l’essenza e l’energia. Quando camminiamo in un bosco
dovremmo soffermarci a pensare non solo a ciò che vediamo, ma a tutto ciò che
sta sotto e che vive, pulsante, nella terra. Le radici, benché nascoste, devono
essere capillari e possenti per la stabilità; il tronco freddo e fiero, si è
piegato e ramificato adattandosi all’ambiente, e infine la chioma, ampia o
allungata, folta o spelacchiata, combatte per raggiungere la luce.
Dobbiamo essere alberi: ben piantati nel terreno, con radici profonde e forti,
capaci di intercettare anche i più lievi cambiamenti. Il nostro tronco può piegarsi,
senza spezzarsi e crescere lento ma costante. Le fronde si spostano col vento
ma possono anche opporsi ad esso e, nel caso, accettare che qualche ramo si
spezzi, per consentire al resto dell’albero di crescere come gli pare.
AM