Adolescenza e luoghi comuni

È diventato quasi un luogo comune considerare l'adolescenza come una fase di superficialità e immaturità. "Sono solo adolescenti", si afferma con un sorriso indulgente, come se questo giustificasse comportamenti superficiali o la totale mancanza di interessi. Ma questa visione è riduttiva oltre che dannosa per lo sviluppo dei giovani.

La storia ci insegna una realtà molto diversa. Nel Rinascimento, Lorenzo de' Medici guidava già Firenze a 20 anni. Alessandro Magno aveva conquistato il suo primo territorio a 16 anni. Nelle società tradizionali, i giovani assumevano responsabilità significative molto presto, gestendo attività commerciali familiari o intraprendendo viaggi per apprendistato. Cosa è cambiato? La società moderna ha creato una sorta di limbo artificiale. Sì è prolungata l'adolescenza, trasformandola da fase di transizione a periodo di stasi. E così si giustifica questo stato come "normale", supportati da migliaia di libri di psicologi pronti a spiegarci quanto sia delicata come fase, di quanto sia normale che siano così alienati.

Il problema non sono gli adolescenti ma il contesto storico in cui crescono e come vengono percepiti e trattati. Continuare a perpetuare lo stereotipo dell'adolescente superficiale non solo è ingiusto, ma diventa una profezia che si autoavvera. Se si trattano i giovani come esseri incapaci di profondità e responsabilità, non ci si sorprenda poi se si comportano di conseguenza.

Nonostante il contesto storico e sociale che gioca un ruolo fondamentale in questo stato di cose, bisognerebbe provare, almeno singolarmente, a cambiare prospettiva, a sfidare e responsabilizzare gli adolescenti, non giustificare il loro limbo di apatia ed inettitudine. Solo così potranno sviluppare il loro potenziale e contribuire alla società, proprio come hanno fatto i loro coetanei in altri periodi storici.