«Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te.»
La citazione di Nietzsche da "Al di là del bene
e del male" tocca una verità profonda, riconosciuta da molte tradizioni
spirituali: l'atto di contemplare il male, anche con intenti nobili, non ci
lascia mai indenni. Nella prospettiva delle tradizioni sapienziali, quando
scrutiamo l'abisso - inteso come le forze del caos, dell'oscurità spirituale o
del male metafisico - non siamo mai semplici osservatori distaccati. C'è sempre
uno scambio, una forma sottile di comunione. Come insegna la tradizione
ermetica: "Come in alto, così in basso" - ogni contemplazione crea un
ponte, un'apertura attraverso cui le energie fluiscono in entrambe le
direzioni. Le tradizioni monastiche, sia orientali che occidentali, hanno
sempre messo in guardia dall'eccessiva preoccupazione per il male e le tenebre
spirituali. Non per paura o moralismo, ma per la consapevolezza che l'oggetto
della nostra contemplazione plasma gradualmente la nostra coscienza. Come dice
il Dhammapada buddhista: "La mente è tutto. Quello che pensiamo diventiamo."
Questo non significa evitare di confrontarsi con l'ombra, ma farlo con la
giusta preparazione spirituale, mantenendo sempre un ancoraggio nella luce
della tradizione e della pratica sacra. Come suggeriscono i maestri del
sufismo: bisogna essere come lo specchio che riflette tutto senza essere
macchiato da nulla.
L' intuizione di Nietzsche ci ricorda che prima di
scrutare gli abissi, dobbiamo costruire in noi stessi un faro abbastanza
luminoso da non essere inghiottiti dall'oscurità che contempliamo.