Secondo Erving Goffman viviamo tutta la vita tra
ribalta e retroscena: mostriamo sempre e solo una parte di noi quando siamo in
presenza di altri, recitiamo un copione, indossiamo maschere.
Vi sono poi rari momenti, nel retroscena, in cui ci si rilassa e ci si può
togliere le scarpe, stappare una birra, bere e ruttare in libertà.
Questa sezione della vita per alcune persone è ridotta ad uno spazio sempre più
stretto. La connessione, la condivisione e l’esibizione di sé costringono a
comparire ossessivamente sul palcoscenico. La separazione tra pubblico e
privato scompare e rivelare indizi della propria vita privata o peggio,
metterla totalmente a nudo, diventa l’imperativo di tante persone.
L’obbligo di essere trasparenti. L’obbligo di essere spettacolo.
Gran parte della società di oggi si nutre delle vite degli altri, morbosamente.
Aspetta con la bava alla bocca lo spettacolo degli altri e poi si chiede come
eguagliare quel genere di reificazione. Auto-rappresentarsi e poi tenere sotto
controllo la propria auto-rappresentazione, tastandone il polso, osservando i
‘mi piace’, le condivisioni ed i commenti. Ci si trasforma in immagini, merci
senza identità.
Baudrillard diceva che vivere nel sistema sociale è un gioco: si deve
sottostare a delle regole, impersonare dei ruoli, leggere le istruzioni. Oggi
tutti vogliono entrare nel gioco della spettacolarizzazione, non farlo equivale
all’estinzione del Sé.
Mostrarsi sul palcoscenico, non interrompere mai (o quasi) la rappresentazione,
produrre immagini di sé da far contemplare, alimenta un sistema di controllo di
sé e degli altri che rafforza il biopotere.
Nella tesi 215 de “La società dello spettacolo”, Guy Debord scriveva: “Lo spettacolo è l’ideologia per eccellenza
perché espone e manifesta nella sua pienezza l’essenza di ogni sistema
ideologico: l’impoverimento, l’asservimento e la negazione della vita reale.”
La spettacolarizzazione è dunque arma di persuasione che si fa ideologia e
assoggetta, nega la vita reale, riducendola ad una mera copia, ad un’immagine
di sé pronta per essere merce. Ecco che si innesca una mutazione antropologica
per effetto di tale ideologia digitale: si esiste se si appare. La propria
esistenza si fa tangibile e reale solo se si manifesta sul palcoscenico, si
diventa giullari di una corte virtuale, pedine di un circo in perenne
mutamento.
AM