Il 29 Dicembre 1890 la neve del South Dakota si
tinse di rosso. Quel giorno, la storia dell'umanità registrò uno dei suoi
episodi più vergognosi: il massacro di Wounded Knee.
In quelle terre gelide, un popolo già ferito cercava
solo di sopravvivere. I Sioux Lakota viaggiavano in cerca di rifugio quando il
destino, nelle vesti del Settimo Reggimento di Cavalleria statunitense, li
raggiunse con la sua falce spietata.
Fu una carneficina premeditata, mascherata da
operazione militare. Quattro squadroni circondarono oltre trecento nativi,
principalmente anziani, donne e bambini. Con l'inganno della pace, li
disarmarono. Con la promessa della sicurezza, li radunarono in un accampamento.
Con la scusa dell'ordine, prepararono il massacro.
Ma l'orrore non si fermò qui. In un atto di
indicibile crudeltà, un distaccamento dell'esercito tornò sul campo di
battaglia per completare l'opera. Trovarono 51 sopravvissuti - 47 erano donne e
bambini. Li giustiziarono tutti, proprio accanto a una chiesa che, con amara
ironia, esponeva il messaggio "Pace in terra agli uomini di buona
volontà".
Oggi, mentre i discendenti di quei carnefici
occupano posizioni di potere nelle sfere più alte della società mondiale,
presumendo di dettare lezioni di moralità e giustizia al resto del pianeta, il
sangue versato a Wounded Knee continua a gridare vendetta.
Questi "maestri di civiltà" contemporanei,
che guidano le sorti politiche ed economiche di gran parte del mondo, sono gli
eredi di chi ha scritto una delle pagine più vergognose della storia con il
sangue degli innocenti.
La vera tragedia non è solo nel ricordo di quel
massacro, ma nel fatto che i suoi perpetratori non hanno mai veramente pagato per
i loro crimini. Anzi, i loro discendenti continuano a prosperare, seduti su
troni costruiti con le ossa dei popoli nativi, predicando valori che i loro
antenati hanno calpestato senza pietà.