Pasquale Festa Campanile: nuove versioni della commedia all’italiana.

Pasquale Festa Campanile è stato uno tra i registi italiani che con il suo particolare stile ha contribuito alla storia di quel genere che ha caratterizzato il cinema italiano dalla fine degli anni Cinquanta: la commedia all’italiana.

La commedia all’italiana esplode proprio all’inizio di quel periodo di (apparente) prosperità che è stato definito come boom economico (1957-1963) e si pone come obiettivo quello di rappresentare la realtà di una società, quella Italiana, che nel mutare la sua economia stava mutando il suo stile di vita. La commedia all’italiana si pone l’obiettivo di narrare questa nuova realtà attraverso le virtù, ma soprattutto i vizi, degli italiani in una chiave ironica e con un tono agrodolce. Questo genere però prosegue ben oltre gli anni del boom e pian piano ingloba i nuovi mutamenti che la società italiana attraversa a vari livelli.

Il lavoro di Pasquale Festa Campanile si inserisce proprio in questo secondo periodo, e in particolare è dalla metà degli anni Sessanta che il regista sviluppa una sua personale versione della commedia all’italiana: il genere viene rivisitato in chiave erotica. Le sue commedie sono state definite del critico e storico cinematografico Gian Piero Brunetta come film dalla raffinata impaginazione tipica da riviste maschile. In generale, da un punto di vista dell’immagine, l’effetto patinato è effettivamente assicurato da costumi e set interni eleganti e modernissimi in linea con design e moda in voga dalla seconda metà degli anni Sessanta. Ma la variante erotica della commedia all’italiana di Festa Campanile spesso va oltre una semplice raffinatezza estetica volta ad attrarre il pubblico maschile, il regista infatti introduce personaggi femminili che non solo non mancano di classe, ma che soprattutto propongono sullo schermo modelli femminili differenti dal passato, per carattere, stile di vita, fisicità e abbigliamento. La raffinatezza di ambientazioni, costumi e narrazione serve al regista per precorrere sullo schermo temi per i tempi abbastanza scottanti perché legati ad una nuova libertà di costumi in campo sentimentale e sessuale; una libertà che ai tempi veniva vista dai più, dentro e fuori dal mondo del cinema, in maniera distorta. Per questo motivo Festa Campanile, come altri registi dell’epoca, deve scendere a compromessi per potere, ad esempio, raccontare la storia di una giovane italiana che segue un vento di liberazione dei costumi. Il compromesso sta nell’utilizzare un’attrice non italiana, per raccontare però la storia di una nuova generazione di italiane. Una scelta obbligata per tacitare la sempre presente ipocrisia della morale di tanto cinema italiano che preferiva che le sue attrici, soprattutto le più note, non venissero associate a questo nuovo stile di vita.

Un esempio tra le opere di Festa Campanile rappresentativo di questo stile e di tutte queste istanze è La Matriarca (1968), interpretato proprio da un’attrice non italiana, la francese Catherine Spaak. Il film narra la storia di una giovane e bella vedova, Mimmi, che dopo aver scoperto che il marito intratteneva diverse relazioni con altre donne, sperimentando con loro varie pratiche sessuali, decide di provare anche lei nuove esperienze. Mimmi però si avvia a queste esperienze in maniera quasi scientifica prendendo spunto dal libro Psychopatia Sexualis di Krafft-Hebing.

Questo testo è stato non soltanto il primo di carattere scientifico ad offrire un quadro di tutti i comportamenti sessuali secondo una analisi psicologica, ma aveva attirato l’attenzione di un più vasto pubblico perché trattava in maniera accademica, tra gli altri, temi come il sadomasochismo e il feticismo, pratiche ritenute fino ad allora semplici deviazioni. Festa Campanile, proprio grazie al suo stile patinato e all’ispirazione letterario-scientifica, fa affrontare tali pratiche alla sua raffinata protagonista senza mai dimostrare alcun pregiudizio. Il classico lieto fine, sebbene nello stile di Festa Campanile, c’è: Mimmi si risposa, ma il suo nuovo marito (Jean-Luis Trintignant) non è un uomo ancorato alla morale borghese e dichiara che l’unica cosa veramente rivoluzionaria è amare qualcuno.




                                                  MLS