Tra I generi cinematografici che
nascono nell’Italia dal dopoguerra in poi, c’è anche il musicarello.
Considerato, a ragione, tra I generi minori, e quasi ignorato negli studi
accademici, soprattutto fuori dall’Italia, questo genere cinematografico nasce
nella seconda metà degli anni Cinquanta per diventare popolare alla metà degli
anni Sessanta. Circa 100 film vengono prodotti in 15 anni, alcuni anche diretti
da registi noti come Lucio Fulci e Lina Wertmüller. I tratti
ricorrenti su cui si basa il genere non sono poi così differenti da quelli del
cosiddetto neorealismo rosa o d’appendice degli anni Cinquanta, la trama
infatti si basa spesso su una storia d’amore contrastata, ma mai tragica come
nell’altro genere in voga negli anni Cinquanta, il melodramma; la novità sta
nello scegliere come protagonista un cantante emergente e nel sottolineare le
scene più intense della narrazione con canzoni dello stesso. Raramente queste
produzioni erano caratterizzate da un’alta qualità e possono tranquillamente
essere considerate a ragione cinema commerciale ed anche promozione dei
cantanti di musica leggera. Nonostante ciò, il genere non va ignorato perché
ritrae una nuova generazione di giovani italiani, e sono dunque, come tanti
altri film e generi cinematografici, uno strumento e una testimonianza
importante per lo studio sociologico dell’Italia. Il musicarello porta sullo
schermo due elementi di costume e cultura, ma anche due categorie
merceologiche, che per la prima volta in Italia venivano pensati i giovani: la
musica leggera e l’abbigliamento alla moda. Il genere riscuote un
certo successo tra i giovani, nuova classe di consumatori fino a poco tempo
prima ignorata, ma che stava allora diventando una interessante fetta di
mercato. Dunque, cinema, musica e moda, generi commerciali che nell’Italia
dagli anni Cinquanta hanno visto un’enorme espansione e che, dalla fine dei
Sessanta, nella loro nuova veste, accompagnano la nuova generazione nella
strada verso nuovi modelli, accontentando il loro desiderio di distinguersi dai
padri, e quindi essere consumatori differenti.
I protagonisti dei
musicarelli vorrebbero apparire spesso dei ribelli, ma sono dei ribelli in
stile Italiano, non certo il modello di ribelle che Hollywood aveva proposto ai
suoi giovani negli anni Cinquanta. Marlon Brando, con la sua giacca di pelle
era stato probabilmente uno dei simboli più tipici di quegli anni, imitato dai
giovani in varie parti del mondo nel suo iconico ruolo di ribelle in Gioventù
Bruciata (Rebel without a Cause, Ray, 1955). Sono questi gli anni in
cui nascono subculture e soprattutto controculture giovanili. Quasi tutte
queste tendenze nascono in relazione a nuovi generi musicali e sviluppano un
loro stile di abbigliamento. Tuttavia, queste controculture nascono fuori
dall’Italia e arrivano con lieve ritardo nel nostro paese. Inoltre, in Italia,
nel processo di acquisizione dei caratteri specifici di queste controculture,
le stesse si modificano in relazione alla situazione cultura e politica del
nostro paese. In quegli anni, ad esempio, gli hippies, compaiono solo sullo
sfondo di vari generi, soprattutto gialli e polizieschi della fine degli anni
Sessanta, e sono rappresentati in maniera assolutamente negativa; la loro
ribellione allo stile di vita borghese ne costituisce un pericolo e sono quindi
rivestono ruoli secondari come sospettati criminali o criminali vedi e propri
in film come Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Petri,
1970) e Una lucertola con la pelle di donna (Fulci, 1971). A
queste atmosfere tetre e a questi personaggi sicuramente più controtendenza e
ribelli, il musicarello contrappone i suoi giovani musicisti che si ribellano
più che altro al volere dei loro genitori. Tra gli altri ‘ribelli’ il
musicarello porta sullo schermo Rita Pavone, Al Bano e Romina, Caterina Caselli
e Gianni Morandi. Un esempio abbastanza tipico, in quanto a trama, ma un po’
differente in quanto a stile, è Non stuzzicate la zanzara (Wertmüller, 1966). È
la storia di Rita, una ragazza di nobili origini, che torna a casa dopo essere
scappata dal collegio, ma il suo intento è diventare una cantante e sposare il
suo ex professore di musica. Il padre, un uomo fissato con la disciplina
militare, cerca in tutti i modi di impedire a Rita entrambe le cose. Tuttavia,
Rita con il supporto della madre riuscirà a coronare i suoi sogni. Rita è
ribelle, ma come una qualsiasi romantica e ingenua adolescente, come romantiche
e un po’ da favola sono le scenografie e i costumi del film. Rita vuole cantare
‘canzonette’ e sposare il suo professore di musica. Tra i musicarelli, questo,
diretto da Lina Wertmüller, rappresenta una particolare versione un po’ musical
americano, perché comprende balli con coreografie, un po’ favola perché
ambientato in un castello fantasticamente arredato e decorato, ma con tocchi
comico-ironici nello stile della Wertmüller. In questo musicarello, i due
protagonisti interpretati, da giovanissimi Rita Pavone e Giancarlo Giannini,
entrano in scena cantando e indossando uno stesso identico completo color
melanzana completato da un dolcevita rosa shocking, cappello e stivaletti in
stile Beatles; uno dei primi esempi di abbigliamento unisex. Niente violenza,
né sesso e neanche grandi ideali per cambiare il mondo, si sogna soltanto un
po’ più di libertà, ingenuo divertimento, pantaloni e vestiti colorati: questi
i giovani italiani descritti nel musicarello. Forse, in questo caso, un lieve
accenno alla lotta nella ribellione di madre e figlia alla dittatura del pater
familias.
MLS