McMahon e la manipolazione delle masse

La serie su Netflix dedicata all’imprenditore Vincent Mc Mahon è interessante per svariati aspetti.

McMahon nell’arco di 40 anni è riuscito a far diventare il wrestling una macchina di soldi con fatturati da capogiro. In che modo?  Sfruttando la manipolazione delle masse che la società attuava nel tempo, attraverso i media. È un uomo che non ha inventato nulla, che non è mai andato controcorrente, che semplicemente si è sempre adeguato dando al pubblico ciò che voleva, rappresentando la falsa realtà del momento.

Qualche esempio? Negli anni ’80 e ’90 in base al “nemico pubblico” del momento creava personaggi antipatici con cui le masse caprine potevano scagliarsi, ecco che durante la guerra in Iraq veniva fuori il wrestler amante di Saddam a cui ovviamente contrapponeva l’eroe americano buono che faceva giustizia. Oppure si cimentava nell’ideazione di soggetti come l’iraniano cattivo e il sovietico antipatico nei giorni della guerra fredda.

Interessante notare anche come adattò i suoi spettacoli nei confronti delle donne, rappresentandole dapprima come oggetto sessuale, vanitose e sexy per poi cambiare rotta cavalcando l’onda del femminismo egualitario e del gender in cui le femmine combattono come i maschi e hanno un aspetto sempre più mascolino.

McMahon è il simbolo dell’imprenditore spietato il cui obiettivo è solamente quello di fare soldi a valanga attraverso l’osservazione dei gusti delle masse indotte dai media.

È il classico stereotipo dell’uomo dal motto “il business è il business”, laddove quest’ultimo diviene un feticcio, conta più di tutto, portando a calpestare qualsiasi rapporto personale pur di fare denaro.

Il documentario McMahon mostra sostanzialmente come fare soldi senza scrupoli sfruttando la manipolazione delle masse.

In questo l’imprenditore americano è stato certamente un genio.