Difesa della vita e transumanesimo

 << Non lascio aperto nessuno spiraglio all'eutanasia. Non dico: "fammi morire". Ma: "lasciami morire come ha stabilito la natura". Né io, né tu. La natura. Prendiamo il caso di Piergiorgio Welby, che ho seguito da vicino. Welby sostanzialmente non disse: staccate la spina. Ma: lasciate che la natura faccia il suo corso, non fatemi restare vittima di una tecnologia che costruisce qualcosa di sostitutivo e artificiale rispetto alla natura. >> (Giovanni Reale)

Così si esprimeva il grande filosofo e storico Giovanni Reale in merito al caso Welby.

Quello del fine vita è un tema spinoso, delicato. Su WI non abbiamo mai messo in discussione nè la difesa della vita in ogni sua forma, né in particolare la difesa della vita dei più deboli. Cerchiamo piuttosto di portare l'attenzione su un'altra questione, che casi come quello famoso di Welby hanno portato necessariamente in primo piano. La tecnica sta obbligando l'uomo ad affrontare quesiti e bivi etici che le epoche precedenti alla nostra non conoscevano. In particolare, le macchine per il sostegno vitale creano condizioni di sopravvivenza artificiale che pongono la necessità di problematizzare la stessa nozione di vita e di vivente. Se non ci si rende conto che il problema è lo stesso del transumanesimo tecnologico, non si afferrano né i termini della questione, né il perimetro ideologico che essi coinvolgono. Per tentare di affrontare il problema etico e morale dell'accanimento terapeutico, ad esempio, le categorie tradizionali, ossia a misura d'uomo, si rilevano semplicemente inadeguate, perchè qui entriamo nel dominio dell'inumano, che avanza laddove l'umano arretra. il nostro è come sempre un invito al coraggio di pensare e al porsi domande scomode e destabilizzanti, dove la risposta non sia pregiudicata e precompresa. Non invitiamo al relativismo, ma a non dare per scontato l'esito del domandare, né ad accomodarsi su sentieri prestabiliti che ignorano le sfide del postmoderno. Vero è che in un mondo sano, la possibilità di tali quesiti non dovrebbero neppure sussistere.

Il fatto è che una volta entrati nella meccanizzazione dei sistemi di mantenimento vitale, ci ritroviamo ad avere macchine in grado di prolungare la vita in maniera artificiale di un organismo che non può sopravvivere da solo. La domanda dunque è: una vita che è mantenuta artificialmente e tecnologicamente, un organismo che non è più in grado di reggersi autonomamente è ancora vivo? È un dilemma tragico, insolubile ed è difficile giungere a una visione univoca. Ognuno si dia la sua risposta.