Il terrore pandemico e il terrore nucleare sono due
volti della stessa paura, due strumenti nella mano della medesima volontà
tirannica. Entrambi rappresentano nell'immaginario collettivo la minaccia
invisibile, che non si può afferrare e perciò trattenere. Sono il male a cui
non è possibile sottrarsi, che sempre incombe e che una volta scatenato non può
essere arrestato.
Il loro successo come strumento di ricatto e
oppressione politica sta proprio nel mettere l'uomo Occidentale di fronte al
suo più grande rimosso: la morte. Sia essa quella individuale o quella della
propria civiltà, la morte è la possibilità impossibile comunemente espulsa
dall'ambito della coscienza vigile, evocata dal potere appositamente perchè di
fronte a tale prospettiva l'uomo contemporaneo risulta totalmente inerme e
indifeso, pronto a qualsiasi cedimento pur di sottrarvisi.
Esiste tuttavia un antidoto a tale terrore sempre
attuale ed efficace. Una sana educazione alla morte e alla sua dignitosa e
nobile sopportazione, come incombenza inevitabile e senso ultimo
dell'esistenza. L'idea, da coltivare e vivere, è che la morte sia la
fondamentale e autentica esperienza di trascendenza dell'uomo, e che di fronte
al confronto costante ed anticipante del morire l'Altro e l'Altrove siano sempre
presenti nelle nostre vite, spingendoci oltre le nostre possibilità terrestri,
rendendo disponibili risorse e arsenali non solo umani e individuali.
L'educazione alla morte è oggi un atto politico
rivoluzionario. Di fronte a un uomo che non teme la morte, nessuna potenza del
mondo è efficace.