Federico Faggin, tra Scienza e Spiritualità

Federico Faggin è un uomo di scienza, ma quella vera, sincera, onesta, non quella dogmatica e ottusa.

Faggin nei testi “Irriducibile” e “Oltre l’invisibile”, di cui consigliamo la lettura, non arriva a conclusioni definitive, ma accetta il mistero, ha sete di ricerca della Verità e ha grandi intuizioni.

Per il fisico italiano vi è interconnessione tra mente e materia, la realtà non sarebbe solo un insieme di oggetti fisici, ma includerebbe anche dimensioni soggettive e spirituali. Egli è convinto che la coscienza umana non si possa ridurre a processi neurologici, ha invece un ruolo attivo nella creazione della realtà.

Il suo approccio è quello di chi tenta di trascendere la mera materialità, cercando di esplorare le dimensioni più profonde dell'esperienza umana attraverso una visione olistica che integra scienza, filosofia e spiritualità.

Il suo pensiero ricorda per certi versi quello di Werner Heisenberg, soprattutto in relazione alla natura della realtà e al ruolo della coscienza nella scienza.

Heisenberg, noto per il principio di indeterminazione, suggerì che l'osservazione influisce sul comportamento delle particelle subatomiche. Faggin crede che la coscienza non sia solo un prodotto del cervello, ma può influenzare la realtà, portando a una visione simile dell'interazione tra osservatore e osservato.

In generale entrambi hanno messo in discussione la visione materialista della scienza e l’idea che la fisica possa spiegare completamente la realtà, opponendosi così ad una visione riduzionista.

Faggin può essere annoverato, come lo fu Heisenberg, tra la schiera di quegli scienziati capaci di esplorare la complessità del reale oltre le spiegazioni puramente materialiste e meccanicistiche.




"I Buddenbrook" di Thomas Mann

 "I Buddenbrook" è un romanzo di Thomas Mann pubblicato nel 1901.

È il racconto della decadenza di una famiglia borghese tedesca nel corso di diverse generazioni.

Mann analizzò come i valori e le aspirazioni della classe borghese stessero cambiando nel tempo riflettendo sull'evoluzione della società tedesca alla fine del XIX secolo con i suoi cambiamenti economici, sociali e culturali.

Mann osservò come la modernizzazione e l'industrializzazione avessero trasformato la società, contribuendo a un aumento del materialismo.

Per l’autore tedesco il materialismo avrebbe condotto alla decadenza culturale e alla perdita di significato nella vita.

Ne "I Buddenbrook" Mann illustrò proprio come l'aspirazione al mero successo materiale e al benessere economico potessero portare a una crisi di valori e alla perdita di identità.

È un opera che offrì una profonda riflessione sulla condizione umana e sulle trasformazioni della società dell’epoca. I personaggi del libro affrontavano difatti le loro inclinazioni e le pressioni familiari, interrogandosi su quale fosse il vero scopo dell’esistenza non trovando un equilibrio tra la ricerca della bellezza e le esigenze della vita quotidiana della società in cui vivevano. 

Mann si interrogò sul progresso ed i suoi eventuali benefici e pensò che vi fosse la necessità di un ritorno ad vita più autentica che trascendesse il materialismo attraverso l'arte, la bellezza e la spiritualità, visti come antidoti al consumismo e al materialismo dilagante.

A più di cento anni dall’uscita del libro, considerando questi nostri tempi, possiamo dire che le preoccupazioni di Mann erano assolutamente fondate.




La moda del "Ghosting"

Tra le nuove generazioni, ma non solo, è diventato un vanto il cosiddetto "ghosting". "L'ho ghostato!" affermano fieri i ragazzi quando spariscono.

Di cosa si tratta sostanzialmente? Di interrompere improvvisamente le relazioni con qualcuno, amico o partner che sia, da un momento all'altro, all'improvviso, senza spiegazioni. È un fenomeno molto indicativo dei nostri tempi.

Questo comportamento disinvolto e indifferente nei confronti del prossimo è preoccupante. Ormai in tanti considerano le relazioni in modo talmente superficiale da non sentire più alcuna necessità di avere empatia verso le persone con cui si interagisce. Inoltre questo atteggiamento è diventato anche un modo per mostrarsi meno vulnerabili e più "duri". In realtà dietro tutto ciò si nascondono insicurezze e immaturità emotiva. Vi è l'incapacità di affrontare i propri sentimenti o quelli dell'altra persona e si sceglie così di allontanarsi piuttosto che affrontare una conversazione difficile. Si teme il confronto e, per evitare conflitti, si sceglie di scomparire piuttosto che spiegare perché si vuole interrompere la relazione. Le conversazioni digitali ovviamente aiutano in tal senso, nel contesto delle relazioni online difatti questo "ghosting" è diventato frequente anche perché è più facile interrompere le comunicazioni senza dover affrontare l'altra persona di persona.

Riteniamo questo fenomeno disgustoso ed inumano e il fatto che sia addirittura diventato "di moda" è indegno per un essere umano che vuol ancora definirsi tale. Bisogna insegnare alle nuove generazioni ad affrontare sempre le situazioni, a guardare negli occhi il prossimo, ad essere dignitosi e limpidi. Chiarire, chiarire sempre, esprimersi e confrontarsi, dirsi chiaramente il perché non si ritiene utile proseguire un rapporto. 

"Ghostare", ovvero fuggire immaturamente come dei ladri, non è da furbi o da forti, ma solamente da persone vigliacche, incapaci di affrontare la vita.




TIK TOK

Anni fa nacque Tik Tok, un nuovo social network che in pochi anni quasi soppiantò tutti gli altri.

Inizialmente tale fenomeno venne minimizzato, si diceva fosse solo uno strumento passeggero per ragazzini, nel tempo però ha raggiunto una incredibile quantità di pubblico di ogni età.

Con Tik Tok i social network sono diventati ancora più deleteri, si tratta difatti di uno strumento dove è possibile creare brevissimi video con un meccanismo tale per cui l'utente medio passa la propria giornata a "scrollare" su e giù tra milioni di video di ogni genere, ingurgitando continuamente qualsiasi tipo di contenuto senza fermarsi a riflettere su nulla.

Questo dito perennemente in cerca di uno stimolo nuovo, nessuno spazio per il ragionamento, tutto deve essere diretto, cinico e veloce perché si deve poi subito passare al contenuto successivo.

Qui non è questione delle solite etichette come "boomer" per banalizzare la questione, fermiamoci un attimo e osserviamo questo social network frequentatissimo, in primis dai giovani. È un luogo oggettivamente mostruoso, dove le masse si riprendono continuamente mentre canticchiano, ballano, fanno smorfie in un tripudio di ego, smarrimento e banalità.

Qualcuno potrà obiettare che bisogna usare anche questi strumenti e le loro modalità per comunicare con le nuove generazioni, va bene, però davvero stiamo raschiando il fondo del barile.  Il vecchio Facebook in confronto è un luogo di elevata cultura filosofica.

Una insegnante ci ha scritto:

<< Da insegnante vi dirò forse una cosa ovvia: i ragazzi sono diventati dipendenti da tiktok anche nel campo della cultura. Una spiegazione più lunga di 3 minuti, o magari lasciata a metà per stimolarli a concludere da soli, ragionando sul problema, li manda nel pallone facendoli perfino innervosire. Devi spiegare tutto per filo e per segno dal principio alla fine in un tempo compatibile con la loro micro capacità di attenzione. E occorre trovare sempre nuovi modi per “stimolarli” perché se si annoiano spengono il cervello e iniziano a scrollare video, di nascosto sotto il banco. Sono consapevole di avere una enorme occasione per provare a salvarli da questo baratro in cui rischiano di precipitare, ma ammetto che spesso mi scoraggio. >>

Riflettiamo.



La ricerca di Ingmar Bergman

 

Tra i Maestri della settima arte, uno dei più profondi è stato certamente lo svedese Ingmar Bergman.

Alcuni lo definirono il regista più cattolico tra i laici ed il più laico tra i cattolici forse perché riuscì, guardando attraverso la macchina da presa, l’essenza ma anche l’assenza di Dio parlando sia dei suoi effetti ma anche del suo silenzio. Forse perché figlio di un severo pastore protestante, esplicò nella sua ricerca, figlia di un’infelicità adolescenziale, la radice della sua “nevrosi” metafisica, religiosa ed esistenziale. Il suo cinema, i suoi numerosi film restano fondamentalmente una ricerca di amore, una ricerca di una risposta.

Cinquant’anni di cinema e teatro testimoniano la sua agognata impresa artistica che sembra dipanarsi sotto l’ala protettiva e formatrice di Strindberg e Kierkegaard. Con questi numi tutelari probabilmente inconsapevoli, il regista svedese pone a sé e a tutti le domande filosofiche più ataviche e difficili che attanagliano dell’uomo moderno.

La sua poetica inizia fin dagli anni ’40 del secolo scorso con “Crisi” e termina nel 1983 con “Fanny e Alexsander”. Due film che pongono la questione del conflitto (interno o generazionale) come tema centrale. In mezzo a questa distanza temporale, una miriade di capolavori assoluti che mostrano i problemi su cui occorre riflettere e da cui è difficile trovare una via di fuga o tantomeno una risposta. Dalla relatività dell’amore (“Monica e il desiderio”, “Sorrisi di una notte d’estate”, “A proposito di tutte queste signore”) a tutti gli altri temi affrontati in una lunga carriera.

Gli elementi chiave del cinema di Bergman sono pochi ma basilari: la fotografia, la recitazione, i colori, l’uso superbo del bianco e nero e la complicità degli attori straordinari di cui si è avvalso durante la sua carriera.

Del suo cinema che vinse ogni cosa possibile (Oscar, Leoni vari, Orsi e Palme…) sono spesso protagoniste le donne. Ingrid Thulin, Liv Ulman, Bibi Anderson sono muse diafane e appartenenti al mondo onirico. Quello dell’impalpabile. Donne in attesa, donne innamorate, donne irrisolte e scontente, riflesso di una complicata vita sentimentale.

Misantropo ed isolato come tutti i maggiori e migliori autori intellettuali di quest’epoca, Bergman riuscì ad esplorare appunto l’inconscio ed il subconscio, il tempo e le sue stagioni. Capace di analizzare le emozioni più sottili, inquadrando “l’interiorità” del personaggio che filma. Usando la macchina da presa come uno scienziato usa il microscopio, Bergman a pieno diritto si può definire come uno scienziato dell’anima o come il pastore del dubbio esistenziale. Circoscrivendo o ampliando il senso del tempo. Quello misero e piccolo dell’uomo o quello enorme ed inesplicabile del divino.

Vasta la sua cinematografia, tra i tanti consigliamo “Il posto delle fragole”, “Il settimo sigillo”, “Persona”, “Come in uno specchio”, “Sussurri e grida”, “La fontana della vergine”, “Luci di inverno”, “Il silenzio”.

Per ognuno di questi film si potrebbero scrivere dei tomi.

Bergman, colui il quale ha saputo scavare a fondo nell’animo umano attraverso la settima arte. Pochi autori hanno saputo penetrare come lui nel magma delle pulsioni umane.

Un autore che riuscì a rivelare l’essenza pulsante, cruda e nuda dell’uomo spoglio di ogni orpello. Illuminando anche le ombre e portando alla luce ogni sentimento, ogni luce ed ogni miseria.

Un gigante.


                                                 OC