Kafka è stato autore di fiabe oniriche e stranianti.
Kafka, uomo piccolo e fragile, privo di autostima e intrappolato
nei meandri di una colpevolezza senza un perché. I suoi “non eroi” immersi
costantemente in situazioni angosciose e indefinibili, grottesche, oniriche,
apparentemente senza speranza.
Kafka, autore di quell’altrove che racconta la realtà per quello
che è: un incubo.
Gli scritti di Kafka, i suoi racconti, i suoi romanzi, sono pagine
in cui sono presenti ossessioni, fobie, sensi di colpa, inguaribili nevrosi.
Il suo conflitto interno, come quello che visse con la figura paterna o
con l’altro sesso, la debolezza di salute, non bastano a spiegare appieno la
genesi oscura e radicale del suo progressivo alienarsi dal mondo e dalla vita e
a condensarne il negativo concetto in fantasie allucinanti.
Il nichilismo kafkiano non è un rifiuto dell’esistente per
affermare una “più che vita” ma solo la visione di ciò che si ha attorno.
È quel tunnel buio in cui sostano sia gli incubi di Lovecraft e la
disillusione totale di Cioran ma a differenza di questi due scrittori, il
nucleo fondante, presente in tutto l’universo kafkiano è la colpa.
E la conseguenza della colpa è la condanna.
Nei suoi elaborati i personaggi conducono una vita apparentemente
tranquilla e sono tranquilli con la propria coscienza, fino a quando non
scoprono di portare sulle spalle una colpa, a loro sconosciuta fino a poco
prima.
La colpa dei personaggi ha ritorsioni sulla vita personale degli
stessi, è motivo di giudizi, ingiurie, provocazioni e pettegolezzi.
Ciò che pensano gli altri impedisce al protagonista, detentore
della colpa, la realizzazione di una vita serena ed equilibrata. Spesso i
personaggi di Kafka vogliono evadere, alla ricerca di un’esistenza migliore,
priva di giudizi di terze persone.
Forse proprio come lui che voleva scappare da una condizione
familiare severa e rigida.
Ma questa fuga è impossibile perché la condizione persistente del
mondo dell’uomo kafkiano è l’angoscia. Una zavorra pesante da cui è impossibile
liberarsi.
Un uomo solo, in una condizione quotidiana aliena, atroce e
malvagia ed in cui l’autorità è lontana, invisibile, inaccessibile, potente e
vendicativa.
Ecco quindi, tra le sue righe, emergere l’urgenza narrativa di
raccontare un uomo irrisolto nonché un modo per sondare abissi dell’animo che
altrimenti gli sarebbero rimasti oscuri.
Un uomo che si muove tra due elementi, due pilastri sviliti della
società moderna. O per meglio dire due tenaglie oppressive che si intrecciano
fino a stringere il protagonista in gangli da cui è impossibile fuggire, se non
con la morte. Il primo è la famiglia, non sinonimo di pace e affetti, ma luogo
del confronto frustrato, dell’inadeguatezza, della colpa. L’altro è il dedalo
burocratico in cui l’uomo moderno si trova disperso: una “tirannia senza
tiranno”, un sistema che ha il solo scopo di perpetuare sé stesso, di cui gli
uomini, anche quelli che si trovano ai livelli più alti, sono degli ingranaggi.
Un autore difficile e non di facile lettura e nonostante la sua portata sia immensa e la critica letteraria lo abbia da tempo inserito tra i maggiori autori della letteratura mondiale di sempre, il suo messaggio (o grido disperato) ha una valenza che ancora non è stata appieno recepita.
OC