Calvaire è il titolo dell'esordio registico del
belga Fabrice Du Welz.
La trama vede un cantante girovago esibirsi in ospizi e piccoli locali, fino a
che un giorno il suo furgone si pianta in mezzo ad una foresta per via di un
temporale. Egli si ritroverà nei pressi di una locanda sperduta in un paesino
abbandonato, qui farà la conoscenza del signor Bartel, in apparenza un uomo
gentile ed ospitale che gli fornisce vitto e alloggio, ma che poi nella realtà
si dimostrerà un folle..
Dopo aver visto Calvaire i primi accostamenti che vengono in mente sono André
Delvaux, Franz Kafka, John Boorman, Gaspar Noè e Tobe Hooper.
Si perché nella pellicola di Du Welz spiccano le sensazioni di impotenza di
Marc (il protagonista) una volta entrato nel vortice psichico del signor
Bartel, le ambientazioni sporche, la regia virtuosa e la fotografia
psichedelica.
Welz trascina lo spettatore in una ossessiva storia di paranoia e solitudine,
in cui la vittima diviene a poco a poco un mero oggetto sessuale conteso fra
differenti uomini.
Il protagonista viene privato di ogni dignità, la comunicazione coi carnefici
risulta impossibile, essi sono accecati dagli istinti sessuali più compulsivi
dovuti alla mancanza del femminile e Bartel costringerà Marc ad incarnare i
panni dell'amata e odiata Gloria, la sua ex consorte.
Tuttavia le "torture" e le scene violente non la fanno da padrone,
perché Calvaire non bada all' estetica del cruento bensì mette al centro la
violenza psicologica, il calvario di un essere umano che crolla in un
microcosmo in cui il muro dell' incomunicabilità è invalicabile e la donna è
scomparsa.
Difatti il fulcro del film è proprio la totale assenza di figure femminili, vi
è un uomo vittima fra gli uomini, il maschio viene umiliato e violentato, in un
paese dove l'assenza di donne funge da metafora della sempre più rara
femminilità nel mondo, quasi sempre ridotta ad ammicchi sessuali e
scimmiottamenti mascolini in nome di una grottesca idea di parità dei sessi.
Mr. Bartel (un magnifico Jackie Berroyer) simboleggia la solitudine del
misantropo rinchiuso nei suoi schemi mentali, che causa fallimenti amorosi
perde la percezione del reale sprofondando nel delirio ed i suoi compaesani
sono le sue stesse ombre, spinti dai medesimi impulsi.
Ad una prima parte statica e descrittiva, Du Welz contrappone nella seconda
metà un montaggio dinamico, con inquadrature sfuggenti, strepitosi piani
sequenza, zoommate e frequenti soggettive.
La fotografia plumbea di Benoît Debie è poi l'elemento che dà l'apporto
fondamentale alla riuscita dell'opera.
Debie risulta in perfetta sincronia con lo scenografo, i colori mutano in
maniera decisa fra degli interni claustrofobici e gli esterni desolanti,
dominano il grigio, il rosso ed il marrone.
Ciò che caratterizza ulteriormente in positivo Calvaire sono le inquadrature
dei paesaggi boschivi di un Belgio silente e avvolto dalla neve, paesaggi che
si sposano alla perfezione con le sensazioni di alienazione in cui vivono
gruppi di boscaioli e contadini dediti ad usuali rapporti carnali con animali.
La prima pellicola di Fabrice Du Welz è in definitiva un dramma violento,
iperrealista e antididascalico, capace di creare sensazioni di angoscia, ed il
tutto non sotto forma di manierismo di genere, ma con uno stampo autoriale di
discreta fattura.