Le inchieste sulla “gioventù meloniana”

In questi giorni stanno circolando "inchieste", da parte di una nota testata, sul "fascismo" negli ambienti del partito della Meloni. 

Ora, se si vuole analizzare lo stantio nostalgismo del fascismo storico di taluni ambienti, lo si faccia pure, questo però non deve in alcun modo dare credibilità a testate del genere.

Sostanzialmente i fatti sono questi, da sempre si trovano all'interno delle "destre" parlamentari soggetti nostalgici. I partiti di centro-destra sanno bene di avere nel loro bacino di elettori persone di una certa area e a loro conviene così, trattasi di numeri utili per occupare poltrone e portare avanti l’agenda mondialista. Una volta al potere sappiamo quali sono le reali linee del partito sulle tematiche che contano davvero e lì non vi è differenza tra “destre” e sinistre” (in questo periodo appoggi incondizionati a Ucraina e Israele, oltre al solito vassallaggio USA).

Nonostante sia limpidissima la propaganda che questo tipo di giornalismo porta avanti da mattina a sera, la realtà è che ci sono ancora tante persone convinte che testate del genere facciano realmente informazione, basta leggere i commenti raccapriccianti sotto gli ultimi video, del tipo"meno male che ci siete voi che fate inchieste altrimenti ci sarebbe il fascismoooo".

Sappiamo bene come “lavorano” costoro, sui grandi temi internazionali essi portano avanti la narrazione imposta, nel frattempo però contornano il tutto con notizie di gossip di bassissima leva per soddisfare l'italiano medio e talvolta “denunciano” i piccoli “fascismi” dei nostalgici assorbiti furbescamente dalle finte destre parlamentari.

D'altronde stiamo parlando di personaggi che si fotografavano fuori dal ristorante col lasciapassare sghignazzando ("io c'ho il green pass ma mi siedo fuori per rubare il posto a chi non lo ha gnegnegne"), di testate che stanno ospitando, per discutere delle loro "inchieste", soggetti del calibro di Roberto Saviano o Formigli.

Saviano? Quando vi capita di ascoltare un monologo di costui fermatevi e cercate il video che il povero Vittorio Arrigoni gli aveva dedicato, basterà quello per farvi inquadrare meglio il signore in questione.

Che dire poi di Formigli, noto conduttore di alcuni teatrini televisivi fintopluralisti di la7 e non aggiungiamo altro.

Insomma basta pagliacciate, basta pseudoinchieste su cose risapute che non sorprendono nessuno ma che sono utili per dar da mangiare a questi finti tutori della democrazia che danno ancora l'illusione a molti sprovveduti che esista libertà di stampa e che si possa attraverso le grandi testate andare contro il potere costituito. Nulla di più falso.



Scuola e retorica progressista - G.Papini

Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? Con quali traditori pretesti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro libertà nell'età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro intelligenza? Non venite fuori con la grossa artiglieria della retorica progressista: le ragioni della civiltà, l'educazione dello spirito, l'avanzamento del sapere… Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v'insegnavano. Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali. Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest'ultimo ufficio - perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori. Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi. Per i maestri c'è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione ritenuta "nobile" e che offre, in più, tre mesi di vacanza l'anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani. Nessuno - fuorché a discorsi - pensa al miglioramento della nazione, allo sviluppo del pensiero e tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più: al bene dei figliuoli. L'uomo, nelle tre mezze dozzine d'anni decisive nella sua vita (dai sei ai dodici, dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha bisogno, per vivere, di libertà. Libertà per rafforzare il corpo e conservarsi la salute, libertà all'aria aperta: nelle scuole si rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti miopi, anemici e nevrastenici possono maledire giustamente le scuole e chi l'ha inventate!) Libertà per svolgere la sua personalità nella vita aperta dalle diecimila possibilità, invece che in quella artificiale e ristretta delle classi e dei collegi. Libertà per imparare veramente qualcosa perché non s'impara nulla di importante dalle lezioni ma soltanto dai grandi libri e dal contatto personale con la realtà. Nella quale ognuno s'inserisce a modo suo e sceglie quel che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione disseccatrice e uniforme ch'è l'insegnamento. Nelle scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose piene di fiati - l'immobilità fisica più antinaturale - l'immobilità dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare - lo sforzo disastroso per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili - e l'annegamento sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel mar nero degli uniformi programmi. Fino a sei anni l'uomo è prigioniero di genitori, bambinaie e istitutrici; dai sei ai ventiquattro è sottoposto a genitori e professori; dai ventiquattro è schiavo dell'ufficio, del caposezione, del pubblico e della moglie; tra i quaranta e i cinquanta vien meccanizzato e ossificato dalle abitudini (terribili più d'ogni padrone) e servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino rimane fino alla morte.

Lasciateci almeno la fanciullezza e la gioventù per godere un po' d'igienica anarchia! L'unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico sarebbe la sua riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo punto c'è abbastanza concordia fra gli spiriti più illuminati. La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione. Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé. Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene - e non tutti ci arrivano. Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati. Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico. Insegna (pretende d'insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori. Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d'ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc. Non si può insegnare a più d'uno. Non s'impara qualcosa dagli altri che nelle conversazioni a due, dove colui che insegna si adatta alla natura dell'altro, rispiega, esemplifica, domanda, discute e non detta il suo verbo dall'alto. Quasi tutti gli uomini che hanno fatto qualcosa di nuovo nel mondo o non sono mai andati a scuola o ne sono scappati presto o sono stati "cattivi" scolari. (I mediocri che arrivano nella vita a fare onorata e regolare carriera e magari a raggiungere una certa fama sono stati spesso i "primi" della classe). La scuola non insegna precisamente quello di cui si ha più bisogno: appena passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quel che s'è ingozzato in quei forzati banchetti e ricominciare da capo.


Tratto da: "Chiudiamo le scuole!", G.Papini (Luni editrice) 


Il business riesumato

Dopo aver promosso la pace in decenni di disarmo con la fine della guerra fredda (in realtà la guerra non si è mai fermata ma solo smolecolata, dilazionata nel tempo e distribuita nel globo a seconda degli interessi) si rimette in moto la propaganda che approfitta del clima bellico degli ultimi anni sotto una luce che fa apparire Orwell un produttore di manuali più che uno scrittore di romanzi distopici. "La guerra è pace", dobbiamo difenderci, attaccando. E siccome il cattivone di turno stavolta è grosso, troppo grosso, allora si punta al riarmo con la tipica paranoia anglo americana nel momento in cui non ottiene ciò che vuole o perde egemonia. Essi a ruota contagiano tutti i paesi della Ue.

Occorre una economia di guerra e investimenti da prelevare dalle risorse sia pubbliche che private, soprattutto private come suggeriva qualche mese fa il marione nazionale mandato per indicare quali strategie economiche adottare. 

Occorre soprattutto la carne da cannone reintroducendo la leva militare ma con toni più leggeri, quasi arcobaleno, perché la parola guerra non fa più paura e tutti siamo rassicurati dalle informazioni dei media che il patriottismo europeo è cosa buona e giusta ed è ora di scendere in campo e prepararsi che tra 5 o 6 anni l'uomo nero arriverà e se non lo farà lo andremo a prendere noi. 

Le masse ignare ingurgitano tutto, le nuove generazioni vivono su tik tok, si disinteressano delle cose del mondo e saranno facili da "arruolare" ideologicamente a qualsiasi causa scellerata proposta dalla propaganda dei media e della scuola.




Gli incubi di Franz Kafka

Kafka è stato autore di fiabe oniriche e stranianti.

Kafka, uomo piccolo e fragile, privo di autostima e intrappolato nei meandri di una colpevolezza senza un perché. I suoi “non eroi” immersi costantemente in situazioni angosciose e indefinibili, grottesche, oniriche, apparentemente senza speranza.

Kafka, autore di quell’altrove che racconta la realtà per quello che è: un incubo.

Gli scritti di Kafka, i suoi racconti, i suoi romanzi, sono pagine in cui sono presenti ossessioni, fobie, sensi di colpa, inguaribili nevrosi.  Il suo conflitto interno, come quello che visse con la figura paterna o con l’altro sesso, la debolezza di salute, non bastano a spiegare appieno la genesi oscura e radicale del suo progressivo alienarsi dal mondo e dalla vita e a condensarne il negativo concetto in fantasie allucinanti.

Il nichilismo kafkiano non è un rifiuto dell’esistente per affermare una “più che vita” ma solo la visione di ciò che si ha attorno.

È quel tunnel buio in cui sostano sia gli incubi di Lovecraft e la disillusione totale di Cioran ma a differenza di questi due scrittori, il nucleo fondante, presente in tutto l’universo kafkiano è la colpa.

E la conseguenza della colpa è la condanna.

Nei suoi elaborati i personaggi conducono una vita apparentemente tranquilla e sono tranquilli con la propria coscienza, fino a quando non scoprono di portare sulle spalle una colpa, a loro sconosciuta fino a poco prima.

La colpa dei personaggi ha ritorsioni sulla vita personale degli stessi, è motivo di giudizi, ingiurie, provocazioni e pettegolezzi.

Ciò che pensano gli altri impedisce al protagonista, detentore della colpa, la realizzazione di una vita serena ed equilibrata. Spesso i personaggi di Kafka vogliono evadere, alla ricerca di un’esistenza migliore, priva di giudizi di terze persone.

Forse proprio come lui che voleva scappare da una condizione familiare severa e rigida.

Ma questa fuga è impossibile perché la condizione persistente del mondo dell’uomo kafkiano è l’angoscia. Una zavorra pesante da cui è impossibile liberarsi.

Un uomo solo, in una condizione quotidiana aliena, atroce e malvagia ed in cui l’autorità è lontana, invisibile, inaccessibile, potente e vendicativa.

Ecco quindi, tra le sue righe, emergere l’urgenza narrativa di raccontare un uomo irrisolto nonché un modo per sondare abissi dell’animo che altrimenti gli sarebbero rimasti oscuri.

Un uomo che si muove tra due elementi, due pilastri sviliti della società moderna. O per meglio dire due tenaglie oppressive che si intrecciano fino a stringere il protagonista in gangli da cui è impossibile fuggire, se non con la morte. Il primo è la famiglia, non sinonimo di pace e affetti, ma luogo del confronto frustrato, dell’inadeguatezza, della colpa. L’altro è il dedalo burocratico in cui l’uomo moderno si trova disperso: una “tirannia senza tiranno”, un sistema che ha il solo scopo di perpetuare sé stesso, di cui gli uomini, anche quelli che si trovano ai livelli più alti, sono degli ingranaggi.

Un autore difficile e non di facile lettura e nonostante la sua portata sia immensa e la critica letteraria lo abbia da tempo inserito tra i maggiori autori della letteratura mondiale di sempre, il suo messaggio (o grido disperato) ha una valenza che ancora non è stata appieno recepita.


                                                                                   OC