Vivere da soli richiede una grande intelligenza; e riuscire anche a restare comunque duttili, elastici e adattabili è un'impresa ancora più ardua. Vivere da soli, senza le mura delle gratificazioni che ci proteggono, richiede un'estrema attenzione vigile; poiché una vita solitaria incoraggia la pigrizia, le abitudini che ci confortano e che diventano perciò quasi impossibili da abbandonare. Una vita solitaria è un incentivo all'isolamento, e solo i saggi riescono a vivere da soli senza fare del male a se stessi e agli altri. La saggezza è solitudine, ma un percorso solitario non conduce alla saggezza. L'isolamento è morte, e la saggezza non la si ritrova nel ritrarsi dalla vita: non c'è alcun sentiero che conduce alla saggezza, poiché ogni sentiero è separativo, esclusivo. Per loro stessa natura, i sentieri possono solo condurre all'isolamento, anche se questi isolamenti vengono chiamati unità, intero, uno. Un sentiero è un processo esclusivo; il mezzo è esclusivo, e il fine è come il mezzo, poiché il mezzo non è separato dalla meta, da ciò che dovrebbe essere. La saggezza arriva con la comprensione della nostra relazione con il prato, con il passante, con il pensiero fluttuante. Ritirarsi, isolarsi per ricercare, significa mettere la parola fine alla scoperta. La relazione conduce a una sorta di solitudine che non attiene all'isolamento, e dobbiamo cercare di arrivare a questa solitudine, che non è della mente che si rinchiude, ma appartiene alla libertà. Il completo è il solitario, mentre l'incompletezza cerca la via dell'isolamento.
Tratto da "Liberarsi dai condizionamenti" di J.Krishnamurti