L’AI ci aiuterà a svolgere compiti ripetitivi,
aiutandoci a liberare energie creative per altre occupazioni. Tale
affermazione, piuttosto diffusa tra gli 'AI-fans', è banalmente falsa: ad
aiutare le persone nei loro calcoli, c'è già il computer. E soltanto il
computer può avere questa funzione. L'AI, è invece semplicemente - e molto più
banalmente -, il pensiero delle élites dominanti. È l'AI a darci le
risposte 'giuste' alle nostre domande, è l'AI a dire ad un medico 'cosa deve
fare', 'come si evolverà una malattia', 'quali terapie somministrare'. È sempre
l'AI, dietro la maschera della maggiore efficienza, a 'suggerire' ad un
insegnante come impostare una lezione, di cosa parlare, quali temi affrontare,
e soprattutto, come parlarne. L'AI quindi non aiuta nessuno, ma - e questo è
certo l'unico compito -, si sostituisce al pensiero umano, affinché esso si
strutturi nell'unica modalità possibile: quella della mafia tecnologica,
meramente interessata alla mercificazione di ogni forma vivente. L'elogio
dell'AI, passa quindi per la mistificazione, del suo funzionamento: l'AI non fa
calcoli, ma 'pensa', quello che 'deve' essere pensato. È indubbio, che il suo
successo - nella guerra contro l'uomo iniziata da banchieri affaristi e magnati
vari in vena di filantropia -, non può prescindere dallo scadimento della
stessa capacità di pensiero. A questo servono, media social e video, 24 ore su
24 proiettati sui nostri telefonini; non più lo schermo televisivo che si
accendeva la sera, ma la televisione 'permanente' che non si spegne più. A
questo servono gli schermi giganti installati nelle nostre città, con
giornalisti in primo piano a diffondere false informazioni, perché nessuno si
sottragga al pensiero che tutti devono pensare. L'uomo comandato dall'AI, sarà
un uomo felice: come un bambino, gli sarà chiesto soltanto, di eseguire, e
ripetere. Senza doversi più preoccupare di nulla. La vita - l'intera vita -,
nelle mani delle élites mondiali.
La maschera dell'intelligenza artificiale
Dominique venner, samurai d'Occidente
“Ci sarà bisogno certamente di gesti
nuovi, spettacolari e simbolici per risvegliare dalle sonnolenze, scuotere le
coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre origini. Entriamo
in un’epoca nella quale le parole devono essere rese autentiche dagli atti”
Il 21 maggio del 2013 per chi segue le vicende
metapolitiche della nostra vecchia cara Europa non è una data qualunque.
Il 21 maggio del 2013, a Parigi, sacrifica la
propria vita a 78 anni, lo scrittore francese Dominique Venner.
Da alcuni definito “il samurai dell’Occidente” in
onore di un suo celebre libro.
Scelse un luogo altamente simbolico per questo suo
gesto estremo, l’interno della Cattedrale di Notre Dame.
Nel primo pomeriggio, entrò nella cattedrale simbolo
di quella civiltà cristiana occidentale che lui riteneva minacciata, si mise la
pistola in bocca e si sparò.
Un gesto estremo, un urlo lacerante lanciato all’Europa intera ed ai suoi cittadini, nello stesso modo di Mishima, di Ian Palach o Alain Escoffier, con le stesse modalità e con lo stesso tragico epilogo.
La decisione di togliersi la vita come gesto di
protesta e di fondazione ebbe una gestazione lunga e meticolosa.
Sbaglia chi colloca Dominique Venner in modo
semplicistico all’interno di un alveo politico.
Avendo imboccato il nuovo secolo, la battaglia non è
più ideologica ma metapolitica.
Il giovane politico degli anni giovanili lasciò lo
spazio allo scrittore, allo storico meditativo come amava definirsi.
Credeva nell’etica, nelle radici europee, nel bello,
nella compostezza e nella riscoperta delle nostre tradizioni ataviche.
Il ritorno, per averli perennemente come punti di
riferimento, ai pilastri della formazione europea: i miti iperborei, l’Iliade,
l’Odissea o il sacro mito delle origini di Roma.
Venner era uomo equilibrato ma deciso, pacato ma intransigente
su cosa doveva fare l’Europa per non morire definitivamente.
Era un “alieno” lo scrittore francese, alieno perché
cercava nel mondo classico l’antidoto per sopravvivere alla decadenza moderna
ma anche uno slancio per superare la crisi e gettare le basi per una nuova
civiltà.
Alieno perché in una cultura omologata e lanciata
verso il futuro, nella società dei consumi, della globalizzazione e del
meticciato culturale e sessuale, parlare di nobiltà di Spirito e di altezza
dell’Anima è una pratica avulsa
Sbaglia chi lo definisce un “disperato” perché
dovrebbe di conseguenza dare lo stesso appellativo a Mishima che come lui si
“sacrificò” per scuotere coscienze ed aprire cuori.
Come lo scrittore giapponese ritenne che un popolo
che dimentica il proprio passato è destinato a morire, e di conseguenza anche
lui cercò di contrapporre una negatività (la rinuncia alla vita materiale e
terrena) al nichilismo moderno.
Una contrapposizione netta, un gesto equiparabile ad
una fiamma che si leva nell’oscurità, ad una pira potente che si innalza nella
notte dell’Europa, per indicare un cammino necessario per non perire e per
gettare le basi di un nuovo inizio e per rivitalizzare quella Tradizione che
per Venner era “la sorgente delle energie fondatrici”.
Ribadendo che “la Tradizione non è il passato, ma
al contrario ciò che non passa e che sempre ritorna in forme diverse”
OC
Saggezza e solitudine
Vivere da soli richiede una grande intelligenza; e riuscire anche a restare comunque duttili, elastici e adattabili è un'impresa ancora più ardua. Vivere da soli, senza le mura delle gratificazioni che ci proteggono, richiede un'estrema attenzione vigile; poiché una vita solitaria incoraggia la pigrizia, le abitudini che ci confortano e che diventano perciò quasi impossibili da abbandonare. Una vita solitaria è un incentivo all'isolamento, e solo i saggi riescono a vivere da soli senza fare del male a se stessi e agli altri. La saggezza è solitudine, ma un percorso solitario non conduce alla saggezza. L'isolamento è morte, e la saggezza non la si ritrova nel ritrarsi dalla vita: non c'è alcun sentiero che conduce alla saggezza, poiché ogni sentiero è separativo, esclusivo. Per loro stessa natura, i sentieri possono solo condurre all'isolamento, anche se questi isolamenti vengono chiamati unità, intero, uno. Un sentiero è un processo esclusivo; il mezzo è esclusivo, e il fine è come il mezzo, poiché il mezzo non è separato dalla meta, da ciò che dovrebbe essere. La saggezza arriva con la comprensione della nostra relazione con il prato, con il passante, con il pensiero fluttuante. Ritirarsi, isolarsi per ricercare, significa mettere la parola fine alla scoperta. La relazione conduce a una sorta di solitudine che non attiene all'isolamento, e dobbiamo cercare di arrivare a questa solitudine, che non è della mente che si rinchiude, ma appartiene alla libertà. Il completo è il solitario, mentre l'incompletezza cerca la via dell'isolamento.
Tratto da "Liberarsi dai condizionamenti" di J.Krishnamurti