Il riferimento in un nostro recente articolo a una
presunta tendenza anarchica nel modello individualistico moderno ha suscitato
qualche perplessità e merita perciò di essere chiarito. In senso generale e
prima di qualsiasi elaborazione politica che tenti di renderla realizzabile nel
concreto, possiamo definire anarchica qualsiasi tendenza al rifiuto e alla
soppressione della presenza di un'autorità costituita e di un modello politico
e sociale strutturato in modo centralizzato e verticale. In sostanza, è tendenzialmente
anarchica qualsiasi istanza libertaria radicale, dove il concetto di libertà è
identificato con l'assenza di vincoli esteriori, obblighi, doveri, gerarchie,
sovrani e padroni. Da questo punto di vista, il rifiuto delle strutture sociali
e politiche tradizionali da parte della modernità, che sfocia nelle varie
declinazioni della dottrina liberale, tradisce chiaramente una tendenza
anarchica, seppure poi questa sia stata mediata storicamente in varie
formulazioni di una teoria politica e sociale volta a salvaguardare non un'idea
radicale di libertà negativa - totale assenza di autorità e centralizzazione di
potere - bensì la maggior quantità possibile di assenza di vincoli compatibile
con il vivere associato. Qui la modernità vive il suo più grande paradosso,
ossia il fatto che la società liberale si sia nel tempo dimostrata
costitutivamente e strutturalmente illiberale. Per cercare di renderne conto,
sarebbe necessario meditare gli aspetti paradossali dell'idea di libertà
astratta alla radice del pensiero liberale, ma non è questo il punto della
riflessione odierna. Ciò che qui preme sottolineare è che alla radice della
modernità si riscontra un originario rifiuto del modello tradizionale di
gestione e distribuzione del potere politico, legato all'istanza di
affermazione e protezione dell'individuo, le cui prerogative sono considerate
prioritarie rispetto ai vincoli comunitari, sociali e gerarchici premoderni. Da
questo punto di vista individualismo è anarchismo, seppure nella società
liberale tale anelito abortisca nelle forme di un nuovo e più raffinato
autoritarismo. Rimane infine da notare che il rifiuto dell'ordine costituito è
un momento indispensabile di qualsiasi processo rivoluzionario. Vi è un momento
anarchico in qualsiasi moto volto al cambiamento, che sarà poi superato
nell'edificazione di un nuovo ordine. La rivoluzione conservatrice ha espresso
la romantica figura dell'anarchico di destra, ossia di colui che rifiuta
l'ordine nato dalla dissoluzione per completare la rivoluzione - intesa in
senso proprio, come movimento circolare - ed edificare un nuovo mondo fondato
tuttavia su principi permanenti e incorruttibili. Tale figura può anche
arrestarsi allo stadio del rivoluzionario permanente, a sua volta incarnazione
di una espressione positiva della tendenza anarchico-conservatrice. Egli è
colui che constatando l'impossibilità del compimento rivoluzionario, vive una
forma di esistenza militante e mobilitata, radicalmente oppositiva, seppure
consapevole dell'impossibilità della vittoria sul campo, concependo tuttavia la
propria missione esistenziale con il mantenimento di posizioni perdute, quale
forma eroica di un'etica residuale e in funzione di sentinella e testimone nel
luogo della catastrofe.