Fabrizio De André, un altro artista su cui negli
ultimi vent'anni si è fiondata la "cultura sinistra" (quando parliamo
di "sinistra" non intendiamo la mera categoria politica ma proprio
l'aggettivo sinonimo di infausto, avverso, che ben si addice a certi ambienti).
Così come successo con Gaber e Battiato, se ne sono appropriati gli Scanzi di turno. Non bisogna, come accade in tali contesti, idealizzarli o
ergerli a guru del pensiero, ma ricordarli con sincerità per quello che
realmente hanno dato.
"Io
non ho nessuna verità assoluta in cui credere, non ho nessuna certezza in tasca
e quindi non la posso neanche regalare a nessuno. Va già molto bene se riesco a
regalarvi qualche emozione.”
Chi era davvero Fabrizio De André? Uno
chansonnier? Un poeta genovese? Un cantastorie cosmopolita e contemporaneo?
Non è semplice racchiudere la personalità di De
André in qualche riga. Saggio, dalla voce profonda, poeta conoscitore di vizi e
virtù umane, è stato forse uno degli artisti più presenti nella memoria e nella
storia collettiva della Repubblica. Questo è tanto più vero quanto strano
poiché non si tratta di musica esattamente nazionalpopolare, né dalle tematiche
leggere, eppure il mito De André si è diffuso largamente. Tutto questo perché
egli ha saputo portare in superficie, dare un volto ed una collocazione alle
emozioni, così che ognuno vi si potesse ritrovare e scoprire una parte di sé.
Il suo segreto è stato il saper parlare con tutti, dall’intellettuale alla
persona più umile. Tutti affascinati da quel modo di cantare, ipnotico,
cullante e rassicurante.
De André si assunse l’arduo compito di raccontare la
vita e con essa i sentimenti scomodi, le posizioni “sbagliate”. L’amore e la
paura, l’odio ed il coraggio, in una girandola di parole, note e strumenti,
utilizzando il mezzo più popolare per eccellenza: la musica.
È entrato a far parte delle nostre vite e di
quelle delle generazioni future, per far riflettere sul senso della vita,
della morte, della libertà, della guerra. Con occhi attenti alle sopraffazioni,
agli abusi di potere, alle miserie umane, dalla parte degli umili, dei vinti,
senza mai nascondere la tragicità degli eventi.
Ha sempre parlato dei suoi “amici fragili” con
delicata poesia, senza abbandonarli mai. Ha donato a storie di terribile
degrado, tratte spesso da fatti realmente accaduti, straordinaria dolcezza, ed
una sorta di ultima ribellione.
In De André c’è la vita, la politica, la polemica,
l’incubo, il sogno, il ragazzo di strada, l’aristocratico, la donna che fa la
vita, il drogato, lo spirituale, l’emarginato, il lavoratore onesto, il
credente, il senza Dio, l’uomo straziato dalla perdita del suo amore ed in
generale tutto un ampio spettro di personalità ordinarie, mediocri, bizzarre,
straordinarie, descritte con stile pungente ma confidenziale.
Era l’11 gennaio 1999 quando Fabrizio De André morì
e ai funerali Fernanda Pivano disse una semplice verità: “se ne va l’ultimo
poeta”.
OC