Il vecchio contadino, dalla collina, osservava malinconico il tramonto. Un tiepido sole, che pareva quasi esser ingoiato dalla città sottostante, risplendeva ancora sulle rughe del suo viso arrossato, rendendole così profonde da sembrare solchi scavati nella terra stessa, così marcate da esser manifesto pulsante di vita vera e vissuta.
Era un uomo onesto
e semplice, il vecchio contadino, ed era proprio per questo che non si trovava
più a suo agio nel mondo. Non sopportava la viltà, la menzogna, i voltagabbana,
l'ambiguità di un sistema "democraticamente" coercitivo, la
distruzione sistematica d'ogni identità, l'omicidio premeditato della logica e
del buonsenso, la sepoltura, nei meandri polverosi del nuovo mercato, delle
arti, del folklore, dei mestieri. Non tollerava, sopra ogni cosa, l'uguaglianza
funzionale all' annientamento, la mortificazione dei più giovani, la guerra
travestita da pace, l'assenza di spirito critico. Era uno all'antica il vecchio
contadino. Suo malgrado, infatti, credeva ancora nell'esistenza dell'uomo e
della donna, nella sacralità della promessa fatta, nella forza e nella
concretezza delle braccia, nella stretta di mano che vale come un contratto,
nell'atto di volontà, nell'azione che, come un tumultuoso fiume in piena,
sbaraglia i fragili argini delle parole vuote e degli inutili sproloqui da
salotto. Osservava ancora il tramonto dalla collina, il vecchio contadino,
abbozzando stavolta uno strano sorriso. Percepiva infatti, con estrema chiarezza,
che lo spettacolo che si stagliava dinnanzi ai suoi occhi stanchi non era
soltanto il volgere al termine della giornata, bensì il crepuscolo di un'intera
civiltà. Promise a sé stesso, in quel preciso momento, stringendo con forza il
bicchiere di vino che teneva saldo tra le sue dita consunte dal lavoro nei
campi, che sarebbe sempre rimasto saldo,
fedele ai suoi principi, sino alla fine dei suoi giorni, marciando in direzione ostinata e contraria.