Georg Trakl, tra tormenti e intuizioni

Georg Trakl è stato un Poeta austriaco che solo da pochi lustri ha avuto visibilità in Italia.

“Il singolo, nella società moderna si isola perché preferisce essere dissoluto anziché inautentico. Io anticipo le catastrofi mondiali, non prendo partito, non sono un rivoluzionario. Sono il partito della mia epoca e non ho altra scelta se non il dolore”.

Bastano queste poche frasi per presentare Georg Trakl, forse uno dei più grandi poeti di lingua tedesca del Novecento, autore apocalittico che visse durante l’angosciosa vigilia della Grande Guerra, apparentemente lontano dalla nostra epoca ma terribilmente attuale.

Agli occhi dei pochi che in Italia si sono accostati alle sue poesie, è parso di scorgere le stesse linee dei poeti maledetti francesi ma è l’epilogo della sua vita che ha fatto assumere alla sua poetica un contorno più tragico e più viscerale.

La sua fu un’esistenza tormentata e breve, consumata da una misantropia estrema, spesa nell’esaltazione di una natura misteriosa e sconosciuta.

Come un personaggio di Dostoevskij, Trakl si sentiva perseguitato da una colpa innominabile, sofferente in una società che reputava inadeguata, consumato dal bisogno di alcool e stupefacenti, ossessionato da visioni di decadenza e dall’ incapacità di vivere.

Trakl è difficilmente etichettabile, collocarlo in un movimento letterario sarebbe riduttivo, così come risulterebbe arduo il tentativo di dare alla poesia del poeta austriaco un’interpretazione esaustiva e definitiva.

L’opera di Trakl ha una dimensione esistenziale, le sue liriche erano una esemplare espressione della crisi epocale della cultura occidentale agli inizi del Novecento. Una crisi che in Trakl non trovava risposte ma solo domande. Domande che si esplicavano in un linguaggio inadeguato a tracciare i contorni dell’esistenza e del suo senso.

L’uomo che scaturisce dalle liriche di Trakl è un viandante, un essere che cerca di tendere al suo luogo originario. Ormai perduto e lontano, di lui resta solo un ricordo sbiadito. Uno straniero alla ricerca di un proprio centro interiore, smarrito da una modernità ormai incombente.

Lo straniero a volte assume anche le sembianze del folle, colui che è in grado di allontanarsi dalla realtà quotidiana e di compenetrare o cercare almeno di interpretare la verità tramite le manifestazioni della natura. In una continua oscillazione tra visioni di caduta e resurrezione e immagini di idilliaco accordo tra uomo e natura.

Per Trakl l’uomo contemporaneo, vista l’impossibilità di superare la crisi di significati e di valori, avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di percorrere l’avventura del nichilismo sino in fondo, pagandone anche le estreme conseguenze. Trakl difatti si suicidò nel novembre del 1914.

La sua poetica vive nella luce incerta del crepuscolo ma anche dell’aurora, sospesa tra fine ed inizio in un linguaggio visionario e lacerato.

Al centro troviamo l’uomo solo che si aggira in un mondo di brutture, di inganni e di disvalori, sempre alla ricerca di una luce negata.

In un mondo dove “Dio è morto” leggere Trakl significa chiedersi se il tramonto che investe la storia e di conseguenza l’esistenza individuale, significhi uno spegnersi definitivo o un buio che si deve attraversare per giungere ad una nuova alba.



                                                   OC