"Io sono quello" di Nisargadatta Maharaj

Nisargadatta Maharaj non era un uomo istruito, non scriveva libri e si esprimeva in modo semplice.

Egli fu un uomo in ricerca, che dopo un periodo di meditazione, ritornò alla sua vita precedente di tabaccaio senza fondare alcun ashram con discepoli e denari. L’unica cosa che fece, oltre a svolgere il suo lavoro di sempre, fu quella di allestire una piccola stanza nella sua abitazione dove accoglieva chiunque avesse necessità di confrontarsi. Diversi studiosi ne riconobbero la saggezza e si interessarono ai suoi insegnamenti.

Tutti gli scritti che si trovano su di lui sono costituiti dai dialoghi che intrattenne con chi andava a trovarlo, trattasi di raccolte di pensieri trascritti con la classica forma del dialogo domanda-risposta.

In particolare, tra i pubblicati, se c’è un titolo rivolto a coloro che sono pronti a mettere in discussione tutto, questo è “Io sono quello”. Un libro che se viene compreso può essere devastante, per alcuni potrebbe essere l’ultimo libro di una lunga ricerca spirituale.

Il messaggio di Nisargadatta sembra trascendere tutto, c'è qualcosa di primordiale, di elementare e, al tempo stesso, di terribilmente complesso in ciò che viene espresso.

Non possiamo dire altro su questo libro, chi ne ha il coraggio può avvicinarsi, con la consapevolezza che la propria vita potrebbe cambiare per sempre.

“Quando non pretenderai nulla dal mondo e da Dio, quando non vorrai, non cercherai e non ti aspetterai niente, allora lo Stato Supremo verrà da te inatteso, senza essere stato invitato.”

“Ogni malattia ha inizio nella mente. Occupati innanzitutto della mente, rintracciando ed eliminando tutte le idee e le emozioni sbagliate. Poi vivi e lavora incurante della malattia. Con la rimozione delle cause, l’effetto è destinato a scomparire.”

“E’ sempre la falsità a farti soffrire: i falsi desideri, le false paure, i falsi valori e le false idee, i falsi rapporti umani. Abbandona il falso e sei libero dal dolore. La consapevolezza diventa coscienza quando ha un oggetto.”

“La libertà dall’attaccamento non si ottiene con la pratica, sopravviene naturalmente, quando uno conosce se stesso. La coscienza di se è distacco. Ogni desiderio è dovuto a un senso di carenza. Quando non ti manca niente, il desiderio cessa.”

“Non c’è niente da diventare, scopri solo ciò che sei. Cercare di conformarsi a un modello, è una insopportabile perdita di tempo, sii e basta.”




"Casi" di Daniil Charms

Daniil Charms è stato uno scrittore e poeta surrealista sovietico.

Il suo nome era uno pseudonimo (Daniil Ivanovič Juvačëv) con cui probabilmente volle evocare il suono - e le vibrazioni semantiche - dei termini harm (danno, danneggiare) e charme (fascino).

Charms amava definirsi "un gigantesco pagliaccio del mondo solare", il suo eloquio era sempre surreale o persino paradossale e a partire dalla fine degli anni venti i suoi versi anti-razionalistici, le sue ideazioni teatrali non conformiste, e i suoi comportamenti pubblici inneggianti al decadentismo e alla illogicità fecero guadagnare a Charms - che amava apparire in guisa di un dandy inglese - la fama di un eccentrico geniale ma folle all'interno dei circoli artistici e culturali di Leningrado.

Charms non mancava occasione per adottare comportamenti stravaganti, come l'abitudine di declamare i suoi versi chiuso in un armadio e restare completamente nudo quando presenziava alle riunioni del movimento d'avanguardia da lui fondato: OBĖRIU, ovvero Unione dell'Arte Reale, che abbracciava gli ideali artistici del Futurismo russo.

"Sono andato nudo alla finestra. Nella casa di fronte si è visto che qualcuno era indignato, credo fosse una marinaia. Sono piombati da me un poliziotto, lo spazzino e qualcun altro. Mi hanno detto che sono già tre anni che dò fastidio agli inquilini della casa di fronte. Ho appeso delle tende".

Tra i tanti testi pubblicati segnaliamo “Casi”, uno dei suoi scritti più rappresentativi.

Brevi scene surreali in cui vecchie cadono una dopo l'altra dalla finestra, uomini litigano per inezie, si picchiano e uccidono nei modi più assurdi e disparati, ma soprattutto i suoi personaggi cadono, non fanno che cadere, farsi male, morire, dormire, non dormire, sognare. Muoiono tutti allegramente, o almeno il lettore ride mentre muoiono.

 “A me interessano solo le sciocchezze, solo ciò che non ha alcun significato pratico. La vita mi interessa solo nel suo manifestarsi assurdo. Eroismo pathos, ardimento, moralità, commozione e azzardo sono parole e sentimenti che mi sono odiosi. Ma comprendo perfettamente e ammiro: entusiasmo ed esaltazione, ispirazione e disperazione, passione e riservatezza, dissolutezza e castità, tristezza e dolore, gioia e riso.”

Il regime stalinista considerò Charms un sovversivo, lo censurò e arrestò più volte fino a chiuderlo definitivamente nel manicomio criminale di Leningrado dove morirà di inedia.

Da Artaud a Charms, possiamo notare come sia democrazia che dittatura hanno il vizio di sopprimere grandi artisti danneggiando sé stessi, cioè il prestigio del loro Paese, il popolo e ovviamente i malcapitati interessati.

Un autore da riscoprire.




 


Che cos'è l'artigianato oggi?

Ogni tanto nelle situazioni estreme si discute di un passo indietro, di un ritorno all'artigianato.

Alle soglie del 2024 cos'è l'artigianato oggi?

Per gran parte della massa è un prodotto che è divenuto inaccessibile, costoso e il più delle volte con l'offerta delle multinazionali appare un qualcosa di improponibile. 

Ma vediamo in dettaglio ciò che c'è dietro...

L'artigiano non ha orari, l'artigiano non segue protocolli, l'artigiano è oggi colui che accetta la sfida del progresso senza la clausola del consumismo.

L'artigiano è colui che sviluppa arte e la propone ad un prezzo congruo, lecito.

L'artigiano è colui che ripara, aggiusta e crea la soluzione adatta con i mezzi che ha.

L'artigiano il più delle volte è colui che produce di ingegno proprio... Lo vediamo alle fiere medievali, ci giunge in casa per proporre alternative alla nostra negligenza.

L'artigiano è ciò che il progresso vede come acerrimo nemico perché mantiene e non consuma.

L'artigianato è la forma espressiva di ogni individuo che sfida se stesso e i tempi odierni.

L'artigianato non è più il mestiere del tizio sotto casa che ti ripara le scarpe comprate al decathlon ma una minaccia alla filiera del commercio facile.

L'artigianato è il contrapporsi a ciò che è facile ed immediato, soprattutto se arriva dall'estero.

I nostri liutai, coramai, mastri setaioli sono un ricordo da quando il libero commercio ha appiattito il consumo, da quando la nostra mente approda a facili e periodiche soluzioni dall'arte che pian piano ci abbandona.

Se non fosse per qualche folle artista che sfida, ci troveremmo senza artigiani, succubi della plastica che adorna le nostre case.


Eugenio Montale ed il suo segreto

 Eugenio Montale è stato uno dei più grandi poeti italiani. Un classico, nel vero senso della parola, a cui guardare con riverenza.

Il suo “Ossi di Seppia” è una raccolta di poesie ispirata dal duro paesaggio ligure con cui Montale esprimeva una visione della vita aspra e desolata, con un linguaggio spolpato da qualsiasi decorativismo. Una linea asciutta ed essenziale, come una forma di ermetismo tendente alla meditazione che molto deve al Simbolismo. Simbolismo che viene superato con un senso di angoscia e di mistero di stampo esistenziale.

Il premio Nobel alla letteratura mise in mostra le ferite della vita. “Un male di vivere” che si incontra in Natura come “un ruscello che non scorre” o una foglia che non può verdeggiare.

Montale fu un poeta asciutto, sobrio nella constatazione dell’assenza di certezze.

Il suo fu un approccio attento, con un’osservazione contemplativa. Di quella contemplazione dei movimenti tenui ed impercettibili della Natura. Alla ricerca spasmodica del segreto che possa svelare il senso della vita. Sormontato da quei “cocci aguzzi di bottiglia” in cima ad un invalicabile muro la cui scoperta implicherebbe il superamento dei sensi e della condizione umana.

In una ricerca senza fine (al centro della sua poesia resta sempre il problema del significato) che non trova risposte ma solo ulteriori domande. Ma forse è proprio il dubbio e l’ardire che possono portare al superamento del limite e al raggiungimento della conoscenza di quel mistero insondabile che ha sempre attanagliato l’uomo. Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?

Ecco quindi l’ascendenza simbolista che in lui prende il sopravvento e che pone al centro la parola come strumento di analisi della realtà. Quella realtà che può essere (ed è) diversa da quella che i sensi riescono a cogliere.

Montale si chiede tutto ciò perché lui non si ferma all’apparenza ma è uno di quegli “uomini che si voltano”. E voltandosi resta solo col “suo segreto”.



                                 OC

Hic Manebimus Optime

Il 12 settembre del 1919 intorno alle 12.30, Gabriele d’Annunzio, a capo di 2600 legionari (nazionalisti, anarchici, militari, socialisti, artisti ed arditi) entra nella città di Fiume dando inizio ad un periodo che fece diventare la città (ora croata) un esperimento rivoluzionario ancora oggi guardato con ammirazione e meraviglia.

Venne accolto in città con gli onori militari da una folla festosa che vide l’impresa come un nobile gesto di difesa nei confronti di tutti quegli Italiani fiumani che non volevano passare per nessun motivo sotto il governo croato.

Come nacque la questione?

Alla fine della prima guerra mondiale l'Italia rivendicò anche la città di Fiume, che però non era presente negli accordi di Londra (gli accordi fatti dall'Italia con Francia e Inghilterra che prevedevano l'entrata in guerra dell'Italia e, in caso di vittoria, l'acquisizione di alcuni territori dell'impero austro-ungarico, le cosiddette terre irredenti).

La città era rivendicata anche dalla Jugoslavia, ma era a maggioranza italiana e spingeva per l'annessione all'Italia.

In questo clima si svolse l'impresa di Fiume, ovvero un colpo di mano militare organizzato da D'Annunzio che con un manipolo di uomini occupò la città il 12 settembre 1919 creando la Reggenza Italiana del Carnaro, in vista di una futura annessione all'Italia.

La reazione internazionale fu negativa e costrinse il governo italiano ad intervenire e a cacciare via D'Annunzio e il suo esercito con un rapido attacco militare il 24 dicembre 1920, il cosiddetto Natale di sangue.

La città venne infine annessa all'Italia in seguito ad un ulteriore accordo tra il governo italiano di Mussolini e la Jugoslavia nel 1924 ma l’esperienza d’annunziana era finita e persa per sempre.

Questo è il triste e drammatico epilogo di questa vicenda.

La burocrazia ed i giochi di palazzo avevano preso il sopravvento su un qualcosa di straordinario e di cui non vi erano stati precedenti in passato.

Oltre all’impresa di coraggio e di ardimento la Fiume di D’Annunzio resta un esempio irripetibile, un avamposto rivoluzionario nel vero senso del termine.

Nella Fiume dannunziana non c'erano limiti, la morale era stata abbattuta e i costumi erano liberi. Un'utopia libertaria di avanguardie artistiche che consegnò al mondo la prima, vera, costituzione rivoluzionaria della storia: la Carta del Carnaro.

La Carta del Carnaro prevedeva infatti un impianto basato su un sistema corporativo, sulla democrazia diretta, sul sistema assistenziale e pensionistico in aiuto dei cittadini, sul suffragio universale senza alcuna distinzione di sesso, razza e religione, sulla proprietà privata purché avesse funzione sociale.

L’esperienza fiumana coagulò in buona sostanza una quantità di esperienze, ribellioni, libertà individuali, intenti rivoluzionari, spinte innovative e libertarie da farne un’esperienza inedita e mai più ripetuta nel Novecento italiano.

Una breve scintilla, un’opera d’arte a cielo aperto all’insegna della provocazione, l’applicazione delle avanguardie artistiche del tempo, un'insurrezione che ispirerà anche parte del ‘68 e l’ala creativa del movimento del ‘77.

Un laboratorio politico e sociale, all’insegna dell’essenza libertaria più pura, da non confondere col vivere hippie. Si trattava di un ordinamento libertario non esteso in senso orizzontale ma in quello verticale. Una dissoluzione del vivere borghese da chi si era spinto in territori artistici di confine usando le famose “acque corrosive” di evoliana memoria.

Una “reggenza di poeti” come venne ribattezzata.

A Fiume, fino al dicembre del 1919, poco dopo l’occupazione, si stanziarono almeno 20mila uomini tra granatieri, arditi, giovani, nullafacenti, disperati, artisti, nazionalisti, esponenti della sinistra.

Il Consiglio Nazionale Fiumano conferì ogni potere a D'Annunzio e la popolazione accorse ad ascoltare i comizi del Comandante da un balcone. All’ardore del sentimento patriottico e di rivalsa per la vittoria mutilata del 1915/18, si unì anche un fermento che si tradusse, solo per fare un esempio, nella costituzione dello ‘Yoga’, detta ‘Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione’, formata da un gruppo di legionari, tra cui Guido Keller, Giovanni Comisso e Mino Somenzi, in cui l'antico ascetismo indiano si mescolò alle teorie futuriste che inneggiavano alla fusione fra arte e vita.

In tal contesto si realizzarono opere di teatro improvvisato, balli, disegni sui muri (antesignani dei nostri murales).

Un modo di vivere che impresse una svolta decisiva del processo di crisi dello Stato liberale ed all’etica borghese, un modo di concepire l’esistenza pericoloso per un sistema, che ora come allora, si sbrigò a togliere di mezzo nel minor tempo possibile. Un'esperienza rifiutata dai liberali, dai benpensanti, dai conservatori, dal clero. Come sarebbe stata la storia di questo “paese” se l’esperienza fiumana avesse potuto mettere radici e avesse potuto diventare un esempio?




                              OC

 


Il cambiamento di Giovanni Lindo Ferretti

 "Non fare di me un idolo mi brucerò".

Si è parlato molto negli anni del famoso "cambiamento" avuto negli anni da Giovanni Lindo Ferretti. In tanti sono rimasti delusi e arrabbiati per via, a loro dire, di una sorta di tradimento, da parte dell’ex leader dei CCCP, degli ideali comunisti.

Ferretti da anni si è ritirato a vivere sui monti, lontano dal mondo moderno, dalle sue meccaniche e dai suoi ritmi. Ha abbracciato un cattolicesimo profondo poichè desideroso di risposte e di un ritorno alla spiritualità.

Chi però ha saputo indagare e leggere tra le righe dei vecchi testi dei CCCP sapeva da tempo l’indole, i desideri e le speranze di Ferretti e non è rimasto sorpreso da tale percorso.

Cosa abbia rappresentato all'interno del panorama musicale (e non) l'entità CCCP è sotto gli occhi di chiunque si sia avventurato nella musica "alternativa" italiana.

Inimitabili e di impatto, con un'iconografia che richiamava volutamente gli scenari del Patto di Varsavia, una sorta di decodificazione, non solo musicale, delle istanze del punk occidentale.

Ma il punk era solo un pretesto per denunciare la deriva materialistica e vuota dell’Occidente.

Il richiamo a quello che sta "oltre il muro" era paradossalmente un bisogno di centralità, di stabilità. Un'adesione ad un "comunismo dorico" che sapesse incarnare lo spirito e le istanze di una gioventù dispersa tra le "insegne luminose" e l'eroina.

Chi li ha considerati superficialmente comunisti, è normale che a distanza di tanti anni sia poi rimasto sorpreso dal percorso individuale del leader Ferretti, si era fermato al dito e non alla luna.

In realtà i primi CCP, poi i CSI e i PGR, sino all’esperienza solista, mostrano Giovanni Lindo Ferretti percorrere una strada onesta, di sincera ricerca del sacro in un tempo di secolarizzazione e decadenza.

"Fedeli alla linea ma la linea non c'è"...

                                                                          

                                                                                 OC


Il non rispetto per il bambino - J.Korczack

Non rispettiamo il bambino perchè ha molte ore di vita davanti a lui.

Mentre i nostri passi diventano pesanti, i gesti interessati, la percezione e i sentimenti pili poveri, il bambino corre, salta, si guarda attorno, si stupisce e chiede in modo gratuito. Spreca le lacrime e spende il riso generosamente.

In autunno, quando il sole si fa raro, ogni bella giornata diventa preziosa; in primavera gli alberi sono comunque verdi. Non servono cure superflue, basta così poco al bambino per essere felice. Non lo prendiamo sul serio, ci sbarazziamo di lui eludendo le domande con risposte scherzose, senza alcuna considerazione per la pienezza della sua vita nè per la sua gioia, che si concedono con tanta facilita.

Inseguiamo il tempo. Ogni quarto d'ora, ogni anno ha la sua importanza. II bambino, invece, ha tutto il tempo, non rischia di mancare l'appuntamento con la vita.

Non è ancora un elettore, per cui non è necessario guadagnarsi il suo voto.

Non esiste il rischio che proferisca delle minacce, non esige niente, non dice niente.

Piccolo, debole, povero, dipendente, non è che un potenziale cittadino.

A volte viene trattato con indulgenza, a volte con brutalità, ma sempre e ovunque con la stessa mancanza di rispetto.

Non è che un bambino, un ragazzino, che sarà uomo solo domani.


Tratto da: “Il diritto del bambino al rispetto” di J.Korczack (ed.Luni)



I "mostri" in casa

Dopo i fatti di Palermo, i ragazzi coinvolti nello stupro sono finiti giustamente in carcere. La vittima invece è tornata sui social.

Questo recente fatto di cronaca ci ha dato l'occasione di osservare i profili social dei giovani coinvolti. Ciò che emerge non è la banalizzazione mediatica che ha voluto dipingere sette mostri usciti fuori da chissà dove.

Anche se fa comodo pensarlo, in realtà trattasi di giovani assolutamente nella media, potrebbero essere i figli di chiunque. Alla nostra società che vende continuamente disvalori piace tanto puntare il dito per non sentirsi mai responsabile di nulla. Vi invitiamo allora a farvi un giro nei profili di tutti i ragazzi coinvolti, lei compresa. Cosa si può osservare? Niente di diverso da quello che i ragazzi medi del 2023 fanno. Trap, Tik Tok, nudità, banalità, vuoto interiore, divertimento fine a se stesso, noia esistenziale.

Accade così che in una serata qualsiasi la lei di turno, si trovi in mezzo a un branco di coetanei, che ad un certo punto decidono di poterne approfittare. D'altronde, a quanto si legge sui giornali, tra loro avevano già dei filmati della ragazza in situazioni simili. Ecco che, nella loro testa scatta il meccanismo "tanto le piacerà", e accade quel che accade. Trattasi di ragazzi come tanti, che ogni giorno scimmiottano i trapper che incitano a trattare "le tipe" come mero oggetto di piacere. E anche lei, la vittima dello stupro, è una ragazza come tante, intenta a canticchiare versi trap dello stesso tenore di cui sopra mentre balla mezza svestita. Nulla di fuori dall'ordinario dunque.

Inutile puntare ipocritamente il dito sui carnefici di turno. È facile fare gli indignati solo quando vengono alla ribalta spiacevoli fatti di cronaca. Ma queste sono semplicemente le risultanti della società attuale.

Invece di scandalizzarsi pensando che i protagonisti siano dei dissennati, perché non fermarsi ad osservare i propri figli su tiktok filmarsi tutto il giorno mentre fanno gli ebeti? Si noterebbe che costruiscono video identici a quelli degli stupratori e della vittima. Conducono la stessa vita e hanno la medesima concezione dell'esistenza. Potevano tranquillamente trovarsi loro quella sera e magari rovinarsi la vita trascinati dal branco e dagli ormoni.

È giusto che chi sbaglia paghi, ma sentire orde di genitori puntare il dito e dare lezioni di morale e educazione anche no. Che si guardassero in casa, i "mostri", come li chiamano, li hanno tutti i giorni accanto a loro.





L'antica funzione dello Spirito - A.Artaud

Vi fu un tempo in cui l’artista era un saggio, ossia un uomo colto che si doppiava in un taumaturgo, in un mago, in un terapeuta, e anche in un gimnasiarca; è tutto quel che si definisce nella lingua dei circhi, l’«uomo orchestra» o l’«uomo Proteo». L’artista riuniva in sé tutte le facoltà e tutte le scienze. Poi venne l’epoca della specializzazione, quella anche della decadenza. Non si può negarlo. Una società che fa della scienza una polvere di scienze è una società che degenera. Se si vuole ben accettare l’idea che l’Uomo è il catalizzatore dell’Universo, bisogna dedurne che le forze morali dell’Uomo vibrano all’unisono con le forze dell’Universo, queste forze che, secondo gli insegnamenti dell’alta filosofia monista, non sono né fisiche né morali, ma rivestono un aspetto o morale o fisico secondo il senso in cui si desidera utilizzarle. E allo stesso modo in cui vi è nel mondo attuale una formidabile incomprensione tra le facoltà opposte dello spirito e della materia, allo stesso modo vi è emulazione, o piuttosto rivalità tra il lavoro delle mani e quello della testa. Le élite, non lo si può negare, non godono d’alcun credito nella società d’oggi. La grande massa umana non si interessa ai lavori dello spirito e non sarebbe esagerato affermare che ci si appresta a ridurre alla fame coloro che, con un disinteresse che fu in altri tempi maggiormente riconosciuto, fanno professione di dedicarsi al puro lavoro del pensiero. Coloro che lavorano con le loro mani hanno dimenticato d’avere una testa, e coloro che lavorano con la testa si attristano generalmente, credendosi sminuiti, quando gli tocca lavorare con le proprie mani. Ci si spiega in queste condizioni, il disprezzo che sentono le masse comuniste per le attività gratuite dello spirito. È perché disprezza i lavori dello spirito che il mondo moderno è in pieno sfacelo; si può anche affermare che ha perso il proprio spirito; e lo spirito, per il fatto d’essere in rottura con la vita, è a sua volta diventato inutile. Che le élite cessino di credere alla loro superiorità, che acquisiscano un’ umiltà salutare, ch’esse rendano allo spirito la sua antica funzione d’organo, che mostrino i lavori dell’intelligenza sotto un aspetto vantaggiosamente materiale, e come per incanto cesserà ogni guerra imbecille tra i raffinamenti sontuosi dello spirito e il lavoro delle mani che è senza valore se non è retto dalla logica della testa. Gli intellettuali occuperanno nella società il posto che gli spetta quando questa società avrà abbastanza discernimento per comprendere che vi è un’identità assoluta tra le forze del corpo e quelle dell’intelligenza, e che lo spirito è il setaccio della vita.


Fonte: "Al paese dei Tarahumara", di A.Artaud (ed.Adelphi)