Pessoa, tra nostalgia ed esoterismo

Pessoa è stato un poeta dotato di una sensibilità fuori dal comune.

Fu un’anima dalla penetrante tristezza, quella tristezza tipicamente portoghese ma terribilmente attuale e moderna. Quella stessa tristezza che può cogliere quando si guarda il mare o l’oceano. Una tristezza che scruta l’oceano con la stessa meraviglia e disincanto che può avere chi scandaglia l’inattitudine e l’inabilità della vita.

Pessoa applica una specie di metafisica sensoriale nel suo approccio letterario che dispensa la malinconica bellezza della verità e della vita. Le pennellate dei suoi versi e dei suoi scritti sono come gocce d’ambrosia per l’individuo che vive in un mondo solitario, appunti sparsi come ossessioni, analisi della mente umana e dell’epoca in cui visse, cantore di amori impossibili ed utopici, illusori ed incomunicabili.

Pessoa fu un poeta che provò a vivere altre vite (i suoi innumerevoli pseudonimi ne sono una prova), immergendosi come nel sogno in un disagio del vivere. Un Io narrativo che oscilla tra finzione e realtà e che sfugge persino alla sua stessa analisi: “Il poeta è un fingitore”.

Il suo humus si muove in una perenne aura di nostalgia, tipica della sua terra e del tanto amato fado. La voce musicale che in modo perfetto può descrivere quelle sensazioni che si tramutano in pensiero ed in un muto destino. Tra Dei che non ci sono più ed anonimi eroi quotidiani che coltivano la nobiltà della rinuncia e dell’abdicazione delle faccende umane.

Così come esiste un Pessoa poeta esiste anche un Pessoa legato al mondo dell’occulto e dell’esoterismo, un Pessoa che scrive di politica ed aderisce idealmente ad una “reazione” verso il mondo moderno. Tipici afflati dei movimenti nati nei primi decenni del secolo scorso. Un Pessoa meno noto ma non meno importante, che trovava nella scienza occulta un percorso di guida verso la ricerca implacabile di trascendenza.

 «Credo nell'esistenza di mondi superiori al nostro e degli abitanti di quei mondi, in esperienze di vari gradi di spiritualità, che si assottigliano per raggiungere un Ente supremo, il quale ha presumibilmente creato questo mondo. Può darsi che ci siano altri Enti, ugualmente Supremi, creatori a loro volta di altri universi e che questi universi coesistano con il nostro, compenetrati o meno».

                           Prince Rupert

Il "Viaggio al termine della notte" di Louis-Ferdinand Céline

"È forse questo che si cerca nella vita, nient'altro che questo, la più gran pena possibile per diventare se stessi, prima di morire."

Louis Ferdinand Céline è stato un autore controverso, criticato, avversato ma anche riscoperto negli ultimi decenni. Questo rinnovato interesse per la figura di Céline da parte della critica, e non solo, nasce dalla riscoperta e dai giusti onori che bisogna tributare al suo scritto più famoso e celebrato: “Viaggio al termine della notte”.

L’opera centrale della sua produzione che come poche altre ha saputo capire, raccontare e rappresentare il XX° secolo illuminandone con provocante originalità gli aspetti fondamentali.

Lo scandalo della sua opera è la profetica e lucidità del suo delirio, uno sguardo che nulla perdona a sé e agli altri. Che guarda nella notte e l’affronta. Notte come momento cruciale e soprattutto stato ideale dell’uomo.

Céline era l’anarchico per eccellenza, che si definiva un cronista, con alle spalle il vissuto delle esperienze più drammatiche come la prima guerra mondiale combattuta nelle trincee delle Fiandre o quelle più goderecce dei locali, oppure le durezze e le privazioni nell’Africa coloniale non dissimili da quelle solitarie della tentacolare New York o della spersonalizzante Detroit. Senza dimenticare le periferie abbandonate e squallide di Parigi dove facendo il medico dei poveri ebbe modo di entrare in contatto con una miseria morale prima ancora che materiale.

Totalmente nuovo nel panorama francese ed anche europeo fu il suo approccio e la sua visione del mondo. Era il 1932 quando “Viaggio al termine della notte” venne pubblicato.  Il romanzo fu una bomba deflagrante che con metodo visionario, ma anche realistico. seppe unire e trasfigurare la materia incandescente della vita quotidiana. Inventò un linguaggio sofisticato che aveva però tutta l’immediatezza del parlato popolare. 

Céline è stato l’autore che, tra sarcasmo e pietà, diede voce e condensò la tragedia e la disperazione inevitabile del Novecento. Con punte di comicità tipica di quelle situazione estreme che inevitabilmente giungono a un punto di collasso. Un riso amaro, un sorriso liberatorio derivante da chi, compie un viaggio ed oltrepassa la notte dell’umanità, lo stadio finale di una modernità divorante.



                                                   OC