Il 25 giugno del 1903 nasceva George Orwell, uno
degli autori più importanti di quel filone letterario erroneamente definito
fantascientifico.
Il saggista britannico è conosciuto soprattutto grazie
alla sua opera più importante, quella che meglio sintetizza il suo pensiero e
la sua visione del futuro: “1984”. Un testo che racconta la società che,
con le dovute proporzioni, stiamo vivendo oggi. Perché oggi? Perché si è
giunti a quel percorso a cui porta inevitabilmente il totalitarismo democratico
che appiattisce e bolla come superato, anacronistico o malvagio qualsiasi
pensiero differente da quello imposto dall’alto e condiviso acriticamente dalle
masse. Una società in cui il vero dibattito viene eliminato e reso possibile
solo come sfogatoio personale.
La democrazia attuale genera una struttura identica
a quella del Grande Fratello in cui la catena di comando prevede alcuni
che definiscono le regole, valutano il comportamento dei sottoposti e sono in
grado di punirli e giudicarli addirittura sulla sola base delle
intenzioni. Ma non vale il viceversa: la gerarchia non è suscettibile di
valutazione anche dal basso.
Il pensiero di Orwell, nel suo famoso scritto è che
la burocrazia (cosa mutuata da Kafka) e l’informazione, non sono altro che
strumenti per inventare storie o distorcerne altre.
In questo punto emerge maggiormente l’attualità del
percorso di Orwell, di una società che controlla continuamente se stessa (basta
pensare solo al controllo dei gusti presi dalle ricerche di Google) in un
continuo cerchio ripetitivo, con la coercizione subdola e silenziosa di modelli
di pensiero e di normalità.
Si tratta di un modello di società che è
assolutamente indipendente dalla forma di governo.
Non c’è alcuna differenza, se non nelle sfumature,
tra un dittatore ed un politico democratico. Quest’ultimo è un soggetto che
rimane al comando per decenni grazie a compromessi e ricatti.
La gerarchia diventa unilaterale, vincolante,
coercitiva e arbitraria. Qualunque sia la forma di governo che un simile Stato
decida di adottare.
Le tre parole usate da Orwell per descrivere quel
mondo sono: “ignoranza, schiavitù e guerra”
E sono le tre condizioni imperturbabili della realtà
umana, che sopravvivono a ogni generazione e si rigenerano in forme sempre più
capillari e sofisticate.
Ignoranza, schiavitù e guerra sono tre parole per
un’ unica categoria: il comando di poteri invisibili, che non vediamo ma
sappiamo esistere perché la loro presenza è testimoniata dai loro effetti.
L’assenza dell'uso della forza trae in inganno, in
realtà semplicemente non ce n'è bisogno, si vive ugualmente in una coercizione
in cui vengono imposti modelli di comportamento, usanze, stili di vita.
Una Matrix bugiarda, ambigua, ambivalente, oscura,
implacabile che molti non contestano perché appare pulita e sorridente, con “la
camicia bianca e la cravatta blu” (come cantava Ferretti).
Ma quest’immagine rassicurante non è scevra dalla
violenza che, anzi, viene usata in modo deciso quando non si è allineati. Una
violenza sottile che magari non punisce ma spinge in un angolo. Quell’angolo
lontano e solitario che emargina, demonizza. Come essere messi dietro la
lavagna ai tempi della scuola. Quel luogo dove stanno i cattivi. E la
solitudine fa paura. Ecco perché ci si piega e ci si impegna a non ragionare, a
non pensare, a non studiare. Sono cose che non servono o se servono posso
causare danni. Danni che è meglio evitare soprattutto per chi è debole e
dipendente dall’altro e dal sistema.
Non c’è potere senza violenza è il messaggio di
Orwell. L’uso della forza nei rapporti umani (“Arancia Meccanica” ) in cui la
contrattazione delle prestazioni e dell’esistenza intera passa attraverso l’uso
più o meno sofisticato della forza sulla volontà di un altro.
Ecco il grande insegnamento di Orwell, la lezione
lanciata alle giovani generazioni ed a quelli che hanno gli occhi ben aperti.
Quanti sono in grado di capirlo?
Prince Rupert