Si discute molto se l'intelligenza umana sia
replicabile artificialmente o meno. La risposta è vincolata all'idea di
intelligenza che si condivide. A partire dall'epoca moderna l'intelligenza è
stata identificata essenzialmente nella razionalità, ossia nella capacità di
calcolo ed elaborazione complessa di linguaggi simbolici. Fino alle soglie
della modernità sopravvive, invece, anche una visione antica che riconosce
all'uomo una facoltà di intelligenza sovraindividuale superiore a quella
razionale, l'intelletto, la quale si basa sulla diretta appercezione dei
principi metafisici mediante un atto accostabile analogicamente a quello
sensibile (visione e gusto in primis). Cosa intendiamo dunque propriamente per
intelligenza umana? La facoltà razionale o quella intellettuale? Mentre la
facoltà razionale è replicabile mediante algoritmi, quella intellettuale è
invece totalmente incompatibile con il modello computazionale. È a partire
dalla riduzione moderna dell'uomo ad essere razionale privo della facoltà
intellettuale che si è aperta la possibilità di concepire la replicazione
sintetica dell'intelligenza, allo stesso modo che l'aver assimilato, sempre
nella modernità, il corpo a una macchina in una visione essenzialmente
materialistica e meccanicistica della natura, ha reso possibile l'idea
dell'automa o dell'ibridazione uomo-macchina. Il transumanesimo si può
combattere solo culturalmente, mediante il recupero di una visione integrale e
tradizionale dell'essere umano che ne rivendichi le peculiarità e l'inassimilabilità
a qualsiasi forma di riduzionismo moderno. La via politica, in assenza di una
antropologia solida e tradizionale che la sostenga, è destinata a fallire: le
lusinghe luciferine e prometeiche del sintetico e dell'inorganico, all'interno
dell'orizzonte culturale che le ha espresse, sono irresistibili e
potenzialmente invincibili.