Eravamo santi, eroi, pensatori, poeti, navigatori.
Creatori, eredi e custodi di una storia legislativa millenaria, madre di tutta
la tradizione giuridica occidentale. Eravamo la culla della cultura europea,
terra di bellezze architettoniche impareggiabili, capaci di slanci produttivi
eccezionali. Eravamo inventori, patria d' uomini eroici che facevano
dell'azione e dell'audacia il loro modus operandi, esempio per il mondo e punto
di riferimento per secoli. D'un tratto, però, sembriamo dei buoni a nulla.
Vendiamo i nostri gioielli industriali a fondi d'investimento stranieri,
delocalizziamo, mortifichiamo e rendiamo precari a vita i nostri giovani,
oramai carne da macello per il dio mercato. Siamo merce, specchio fedele di quello
stereotipo d'italiano arruffone, servo scaltro, opportunista, buontempone,
figlio dell'immagine propugnata dai nostri nuovi padroni nell'immediato secondo
dopoguerra, rilanciata senza pudore da pennivendoli, pseudo artisti e
intellettuali asserviti. Siamo diventati solo una meta turistica da prendere
d'assalto, che deturpa il suo paesaggio mediante una urbanizzazione sfrenata,
che non è abile ad essere artefice del suo destino, che deve essere
accompagnata per mano, mentre sorride, verso il baratro. Siamo italiani, e non
più fieri di esserlo. Tenuti in gabbia da un'Europa di burocrati e di squali
dell'alta finanza, vittima sacrificale sull'altare del progresso scientifico,
terra di conquista, avanguardia d'ogni più vile sperimentazione. Monitorati, in
via d'estinzione, pronti ad essere sostituiti, siamo burattini senza fili nelle
mani del mangiafuoco di turno. Controllati, minacciati, in costante degenza ed
osservazione, abbiamo dimenticato il nostro passato, venduto il nostro
presente, pregiudicato il nostro futuro, raso al suolo tradizioni ed identità.
Eppure, un tempo non troppo lontano, con pregi e difetti, esistevamo. Eravamo
un popolo di santi, poeti, pensatori, eroi e navigatori.