Ci
sono molti motivi per tornare a leggere oggi il famoso manifesto di Unabomber.
Innanzitutto
documenta un raro caso di unità di parola ed azione, così distante dal modello
intellettuale odierno, fatto di pensieri destinati alla carta e non alla
realtà. Colpisce tra l'altro la lucidità di analisi e l'accuratezza
argomentativa, le quali fanno pensare non tanto a un milite che espone le
ragioni della propria lotta, quanto piuttosto a uno studioso che ha trovato nel
terrore lo sbocco naturale del proprio itinerario di ricerca. Si può non
condividere la via di Kaczynski – e di certo noi non la condividiamo – ma di
sicuro non lo si può accusare di scarsa coerenza e di non essersi fatto carico
con dignità delle proprie scelte radicali.
Sorprende
inoltre la straordinaria capacità dell'autore di anticipare di almeno vent'anni
processi che a metà degli anni novanta si potevano appena intravedere e che
solo in tempi recenti si sono manifestati in tutta la loro virulenza. Controllo
digitale, eugenetica, psicopatia sociale, politically correct, cancel culture, wokeism
sono qui ampiamente anticipati e predetti come esiti necessari delle
caratteristiche della società industriale, destinati ad amplificarsi con il
passare del tempo e con lo sviluppo e l'implementazione dell'apparato
tecnologico.
Particolarmente
interessante è inoltre l'analisi che l'autore propone della psicologia
dell'uomo di sinistra, la quale ha l'indubbio merito di porre le basi per una messa in discussione
della tassonomia politica classica e di unificare sotto una nuova luce gran
parte delle tendenze della sinistra odierna, le quali altrimenti rimangono
enigmatiche e inspiegabili ricorrendo alla pura teoria politica e alle
dichiarazioni d'intenti. La fenomenologia del leftism come malattia della
personalità e la sua sostanziale incompatibilità con qualsiasi programma
rivoluzionario sono sicuramente alcuni degli elementi più gustosi e stimolanti
dell'intero trattato.
La
società industriale e il suo futuro si basa sull'idea centrale che la sanità
mentale e il benessere umano abbiano a fondamento il disporre pienamente di se
stessi, del proprio tempo e dei mezzi di sostentamento individuali. Potere è
sostanzialmente la capacità di realizzare scopi e obbiettivi in autonomia. Il
processo di potere è appunto ciò che la società industriale ha predato
all'uomo, sostituendone l'attività con surrogati inutili e frustranti, utili a
impegnare e distrarre il cittadino mentre altri centri decisionali dispongono
di lui, confiscandone l'autonomia e riducendolo in un perpetuo stato di
necessità artificiale.
Questa
situazione non è, secondo Kaczynski, una contingenza storica, ma un effetto
collaterale inevitabile dell'impianto tecnologico che regge la società dei
consumi. Economia e tecnologia sono un tutt'uno nella società moderna e la
particolare configurazione totalitaria che essa va assumendo è strettamente
necessaria al suo preservarsi e alla sua piena realizzazione. Da questo si deduce
che la società industriale non è riformabile politicamente, ma può essere solo
abbattuta dalle fondamenta, sfruttandone le crepe e favorendone il collasso.
Il
testo si impegna quindi nel suggerire scenari futuri e strategie possibili
utili al rovesciamento della società industriale, partendo dal presupposto
piuttosto realistico che una catastrofe planetaria sarà pressoché inevitabile
qualunque sia l'esito storico dell'attuale ciclo di civiltà. Pertanto,
suggerisce l'autore, meglio affrettare il più possibile i processi dissolutivi
intrinsechi al sistema in modo da limitare il trauma del collasso globale e
anticipare la ricostruzione dell'ordine planetario su nuovi presupposti e
rinnovati equilibri. Questo sarà possibile solo se si saprà elaborare e promuovere
una cultura adeguata a rifondare la società, sufficientemente inclusiva e
aggregante da poter cementare una massa sociale critica che saprà, a tempo
debito, cogliere l'opportunità offerta dal tracollo dell'ordine sociale e
presiedere al suo rinnovamento.
Condividiamo
l'impianto generale del testo. La società moderna è irriformabile; le sue tare
sono costitutive così come i suoi pericoli; la politica – come si intende la
gestione del potere nelle moderne società industriali – è espressione del problema
e pertanto non può risolverlo; solo un rinnovamento culturale profondo può
favorire e accelerare un cambiamento radicale.
Tuttavia
i limiti dell'opera si palesano proprio a partire da queste premesse. Kaczynski
dimostra di trascurare gran parte del dibattito filosofico contemporaneo sulla
questione della modernità e della tecnica. La sua concezione di società
industriale è essenzialmente orizzontale e manca di una visione d'insieme e di
una verticalità metafisica che potrebbero fondare l'antitesi tra società
dell'umano e dell'inumano su una base qualitativa e non meramente quantitativa
(più libertà, più autonomia, più potere, più tecnologia). Ampiamente deludente
è poi la risposta culturale che propone in vista del rinnovamento sociale: una
sorta di anarchismo ecologista comunitario e laico, la cui inconsistenza è
facilmente dimostrabile a partire dal fatto che si tratta di schemi ideologici
intrinsecamente moderni, quindi affatto non alternativi al presente. Moderna è
inoltre la temperie dei frequenti elogi dell'individualismo, il quale viene
interpretato come alternativa al collettivismo di sinistra, ma che a parer
nostro è solo un'altra espressione dello spaesamento moderno. Il modello
collettivistico è superato non tanto dal ritiro nel privato nella ricerca
utopica della totale autosufficienza (sia essa individuale o di un piccolo
gruppo), quanto da un modello di società differenziata e organica che assecondi
tanto l'istanza sociale che la vocazione personale di ogni singolo.
Nonostante
questi aspetti tutt'altro che secondari, il testo rimane comunque un documento
con cui confrontarsi e discutere, sia per la profondità e la lungimiranza di
molti suoi luoghi, sia per il tributo di sangue che le idee ivi espresse hanno
richiesto all'autore che vi ha dato voce. Kaczynski rimane, nel bene e nel
male, pietra di scandalo ineludibile per tutti coloro che credono che il
pensiero sia il gioco innocuo di intellettuali annoiati.