Febbraio 1947, Georges Bernanos nell’aula magna della Sorbona tiene una conferenza chiamata “Lo spirito europeo e il mondo delle macchine”.
Un passaggio profetico:
“Accettare questo mondo significa accettare di essere oggetto passivo di una terribile, irreversibile esperienza, e io vi ho già detto abbastanza che cos’è questa esperienza, di cui niente, assolutamente niente può farci prevedere la fine, perché fino ad oggi ha portato a catastrofi sempre più terribili.
Alcuni tra voi vanno certamente ripetendo che, la macchina li libera. Li libera provvisoriamente, in una maniera, in una sola maniera, ma che colpisce l’immaginazione: li libera in certo modo dal tempo, fa «guadagnare tempo». Questo è tutto. Guadagnare tempo non è sempre un vantaggio. Quando si va al patibolo, per esempio, è preferibile andarci a piedi.
Il possesso individuale di alcune macchine il cui uso appartiene soltanto a voi, che servono soltanto a voi, può anch’esso farvi illudere, ma queste macchine dipendono già, dipenderanno sicuramente sempre più dalla macchina totalitaria e concentrazionaria, posta nelle mani dei tecnici dello Stato. Voi potete possedere in casa vostra mille apparecchi elettrici per l’illuminazione, uno più ingegnoso e anche più costoso dell’altro. Se la centrale vi rifiuta la corrente, restate al buio, e se la centrale ha anche proibito la vendita delle candele, perché ha bisogno di sego, non avete da far altro che andare a letto senza luce. Domani potrà anche rifiutarvi il calore..
Avete letto sui giornali che un po’ dappertutto si costruiscono impianti per la disintegrazione atomica sul modello delle prodigiose centrali americane, e nonostante questo, dormite tranquilli come se niente fosse. C’è da sbalordire, permettete che ve lo dica... Credete che coloro che controlleranno quelle colossali risorse d’energia non ne abuseranno mai contro nessuno? Tanto meglio per voi. D'altronde, nel caso di abuso di potere potrete sempre, in quel momento, rivolgervi al commissariato del vostro quartiere. Noi siamo già davanti a questo mondo, siamo sulla sua soglia; la porta non si è ancora chiusa dietro di noi. Voglio dire che esso farà facilmente a meno della nostra accettazione, però teme il nostro rifiuto. Non ci chiede di amarlo, non chiede l’amore, chiede solo di essere subito. Nella pretesa di asservire le forze della natura, attende che ci sottomettiamo a lui, al suo determinismo tecnico, come ci sottomettiamo alla natura stessa, al determinismo delle cose, al freddo, al caldo, alla pioggia, ai terremoti e agli uragani. Ha paura del nostro giudizio e della nostra ragione. Non vuole essere discusso. Sostiene di saper meglio di noi chi siamo, ci impone la sua concezione dell’uomo. Ci invita a produrre, a produrre ciecamente, a qualunque costo, proprio mentre ci ha dimostrato in una maniera spaventosa la sua capacità di distruggere. Ci ingiunge, ci comanda, ci incita a produrre, per non darci il tempo di riflettere. Vuole che teniamo lo sguardo fisso sul lavoro affinché non lo leviamo su di lui. Perché, come tutti i mostri, ha paura della fissità dello sguardo umano.”