La crisi dell’insegnamento non è una crisi dell’insegnamento; non c’è crisi dell’insegnamento; non c’è mai stata crisi dell’insegnamento; le crisi di insegnamento non sono crisi di insegnamento; sono crisi di vita; denunciano, rappresentano crisi di vita e sono crisi di vita esse stesse; sono crisi di vita parziali, eminenti, che annunciano e accusano crisi della vita generale; o, se si vuole, le crisi di vita generali, le crisi di vita sociali si aggravano, si radunano, culminano in crisi dell’insegnamento, che sembrano particolari o parziali, ma che in realtà sono totali, perché rappresentano il tutto della vita sociale; è infatti all’insegnamento che le prove eterne attendono, per così dire, la cambievole umanità; il resto di una società può passare, truccato, mascherato; l’insegnamento non passa; quando una società non può insegnare, non è che manca accidentalmente di un apparato o d’una industria; quando una società non può insegnare, è che questa società non può insegnarsi; è che ha vergogna, è che ha paura lei stessa d’insegnarsi; per ogni umanità, insegnare, in fondo, è insegnarsi; una società che non insegna è una società che non si ama; che non si stima; e questo è precisamente il caso della società moderna.
I parassiti politici parlamentari di ogni lavoro umano, i politici della politica e dell’insegnamento hanno un bel celebrare la scienza e il mondo moderno e la società contemporanea in gozzoviglie cerimoniali; [...]
Come insegnare quando tutto il mondo mente; io so che si mente molto nell’insegnamento; ma ugualmente l’insegnamento ripugna più alla menzogna che le altre operazioni sociali; l’infanzia e la giovinezza hanno, nelle società più danneggiate, una certa forza di innocenza propria che resiste alle invasioni della frode; è per questo che la pedagogia ha meno successo delle altre forme di demagogia; ed è per questo che le malattie sociali venute dalla menzogna appaiono anzitutto sotto forma di sintomi pedagogici.
Le stesse esagerazioni dei nuovi predicatori malcelano una sorda inquietudine; un autentico sapiente che lavora nel suo laboratorio, non scrive Scienza con la S maiuscola; un autentico artista, che lavora nel suo atélier, non scrive Arte con l’A maiuscola; e un vero filosofo, che lavora nella sua testa, non scrive Filosofia; il più delle volte non pronunciano e non scrivono queste parole: scienza, arte, filosofia; si può affermare che usano queste parole il meno possibile e per così dire a difesa del loro corpo; colui che dice Scienza, Arte, Filosofia e Società moderna ai barlumi di illuminazioni civiche è uno che non sa quel che è un laboratorio, un atélier, un pensiero personale, un’umanità; e quando un demagogo scientista pone una S maiuscola a Scienza, non lasciamoci ingannare; è che questa S maiuscola, nei rimorsi della sua tardiva coscienza, fa una sostituzione; sostituisce tutto quello che nello spirito del demagogo, o del pedagogo, è tutt’uno, viene meno alla scienza per esercitare la funzione sociale di mistica laica a essa attribuita dai politici; come se questa mancanza stessa non ci fosse, questa pretesa insufficienza che garantisce la scienza allo sguardo del vero sapiente, come se questa impotenza impolitica della scienza non fosse, agli occhi del sapiente vero, il suo marchio stesso, la causa della sua eminente grandezza, la condizione della sua dignità.
Quando un demagogo pone una S maiuscola a Scienza e quando tenta di costituire un culto rituale della Scienza ricalcato sugli antichi culti religiosi, è che anzitutto non comprende nulla della vera scienza, della sua vera grandezza, e secondariamente che, non comprendendo nulla di questa autentica grandezza, vi mette stupidamente una prolunga; prolunga di grandezza uguale a quella che, nello spirito di un demagogo, può separare una S maiuscola capitale da una s minuscola di cassa.
Trovano che la scienza non è dunque come è, per quel che ne vogliono fare, e poiché sono incapaci di ingrandirla nella realtà, fanno professione di ingrandirla nella tipografia.
Traggo argomento di questo sentimento che hanno di questa insufficienza; e mentre si vuole fare della Società moderna un nuovo Dio, come non riconoscere in questo idolo nuovo delle tare peggiori delle tare degli dèi antichi; come insegnare l’infanzia e la giovinezza quando tutto il mondo mente, quando tutti i grandi personaggi mentono, quando tutti gli Stati Maggiori, di tutti i partiti, mentono, quando tutto il mondo politico parlamentare mente, quando i maestri, che dovrebbero insegnare a non mentire, mentono, quando l’appiattimento delle coscienze appiattisce le coscienze universitarie stesse, quando il favoritismo, il nepotismo, quando l’arrivismo invade il personale universitario stesso, quando i figli, i nipoti, i generi e i cugini di secondo grado dei grandi maestri salgono i gradi della gerarchia a una velocità uniformemente accelerata, quando infine tutti i giovani professori provano simultaneamente lo stesso colpo di fulmine automatico per tutte le ragazze di tutti gli ispettori generali.
Come insegnare l’infanzia e la giovinezza quando tutto quel che non è più bambino e che non è più giovane mente; qualche anno fa, al tempo del mio apprendistato e delle esperienze inevitabili, avrei scritto, come tutti, che il mondo moderno si cerca; oggi, nel disordine delle coscienze, siamo malauguratamente in grado di scrivere che il mondo moderno si è trovato, e che si è trovato malvagio; le conseguenze delle menzogne politiche parlamentari ricadono per sempre sugli autori che sono contabili e responsabili di queste menzogne; ricadono sempre sulla stessa umanità; come insegnare quando tutta la società è marcia di menzogna [...];
Che la scienza, che l’arte, che la filosofia si sbarazzi dei politici, che il socialismo, che il mondo operaio si sbarazzi dei politici, che l’insegnamento si sbarazzi dei politici [...]: a questo punto forse degli uomini che non mentiranno avranno qualche diritto di parlare della giovinezza; e non avendo più questa crisi di vita, forse a questo punto non ci sarà più crisi dell’insegnamento.
Per il rientro a scuola (Pour la rentrée) è un articolo scritto da Péguy in occasione della riapertura delle scuole, l’11 ottobre 1904. Il testo è raccolto da Jean Bastaire nell’antologia Péguy tel qu’on l’ignore (1973).