In questi giorni, a seguito di una recente e ben
nota sentenza della Corte Suprema americana, il tema dell'aborto è tornato ad
essere ampiamente discusso dall'opinione pubblica. Noi di WI siamo favorevoli
ad un serio e trasparente dibattito sulla questione, e per questo proponiamo
alcuni spunti di riflessione indispensabili, a parer nostro, per una corretta e
onesta posizione del problema.
1. Esiste un criterio oggettivo, scientifico e
condiviso, per determinare a partire da quale momento dello sviluppo embrionale
il feto non può più essere considerato un semplice aggregato di cellule, ma
diventa riconoscibile propriamente come essere umano portatore dei diritti
essenziali che riconosciamo a tutti gli esseri umani?
2. In assenza di un tale criterio, siamo consapevoli
del fatto che una sua definizione su base arbitraria, è di fatto una
definizione arbitraria di cos'è un uomo, con tutto ciò che questo comporta
sulla sfera politica e del diritto?
3. In base al punto 2, siamo consapevoli che così ci
si espone al rischio di ammettere che la definizione di essere umano e del suo
diritto alla vita e all'autodeterminazione non sono più principi assoluti, ma
affidati a processi decisionali contingenti e strumentalizzabili?
4. In che modo porre il primato all'autodeterminazione
della madre, in attesa che si dimostri in maniera oggettiva che il figlio non è
un essere umano, non è porre il principio che, in base a valutazioni
contingenti ed arbitrarie, alcune categorie umane possano decidere a proprio
vantaggio della vita di altre categorie umane (o considerate non completamente
umane, o solo umane in potenza, o non definibili come umane secondo le
categorie del momento)?
5. È sbagliato affermare che se non sappiamo
definire in modo scientifico, oggettivo e condiviso lo statuto non umano del
feto fino a un certo grado di sviluppo, ma legittiamo l'aborto su basi
arbitrarie, rendiamo anche la definizione di omicidio fluttuante e
indefinibile? (Ad esempio, oggi potrebbe essere definito omicidio ciò che
domani, sulla base di altri criteri arbitrari, non lo sarà.)
6. In base a quale quadro di riferimento etico e a
quale idea di diritto il principio di autodeterminazione della madre sul
proprio corpo avrebbe priorità sul diritto alla vita del figlio? Perchè questo
principio, una volta posto, non può essere esteso, ad esempio, anche a fasi
post-natali?
7. In che modo lo stato di sub-umanità di un feto di
alcuni mesi non può essere assimilato a quello di certi gradi di disabilità o
senilità? Che cosa ci impedisce di estendere a tali categorie il primato
all'autodeterminazione di altre?
8. Che fine ha fatto in questo caso l'adagio
"la tua libertà finisce dove inizia la mia"?
Evidentemente per alcuni non vale quando non sono
disposti a riconoscere la piena umanità all'altro. O vale solo quando la
libertà è la loro e non quella del feto nel grembo materno. Oppure per molti
non ha mai significato nulla, e allora bisognerebbe vergognarsi di averla
pronunciata.