L' aborto è una scelta dolorosa e una pratica
altamente traumatica per molte persone che vi ricorrono, non vogliamo
formulare alcun genere di giudizio morale su chi ha abortito
volontariamente. Per noi nessuna questione morale ha senso se non è posta a
partire da dei principi che la orientano; è appunto sui principi che ci interroghiamo.
Tutto il resto viene dopo e di conseguenza, e l'ordine del discorso, dal nostro
punto di vista, non può essere invertito.
1. Prendiamo atto che per molti, data la legge, la
questione è chiusa e non si ritiene opportuno alcun commento o dialogo. Non
abbiamo obiezioni: sappiamo che esiste una legge, ma questo non ci
impedisce, né impedisce a nessuno, di continuare ad interrogarsi sul
problema, malgrado il fastidio che ciò può provocare ai più radicali
sostenitori. Allo stesso modo, accusarci di “filosofeggiare” o ricorrere
a “supercazzole” al fine di delegittimare ciò che scriviamo, ci lascia
indifferenti: se per qualcuno cercare di ragionare è ozioso, o non ha pazienza
e risorse per farlo, che si dedichi pure ad altro. La nostra via è, al
contrario, cercare di capire ponendo questioni ed esercitando la ragione
critica, anche quando l'argomento è considerato sensibile o tabù. Qualcuno ha
sostenuto che le domande e le loro formulazioni fossero tendenziose. Lo sono
nella misura in cui esprimono la prospettiva e l'ordine del nostro
interrogarci, e pongono una gerarchia dei punti che consideriamo fondamentali,
ossia l'umanità e i diritti del feto in primis, e successivamente le possibili
conseguenze politiche e sociali di una definizione arbitraria di umanità. Siamo
consapevoli che esistono molte altre domande e prospettive possibili, ma questa
è stata scelta perché ci sembra quella che punta maggiormente al cuore del
problema.
2. L'argomento più citato dai sostenitori
dell'aborto è il noto adagio, cavallo di battaglia del femminismo, sul diritto
inalienabile della donna a decidere del proprio corpo. Questa assunzione
meriterebbe una discussione puntuale, ma ci limiteremo solo ad alcune note,
anche perché in genere chi lo sostiene non è interessato a discuterla. In sostanza,
si tratta di uno slogan retorico, ideologico e sostanzialmente privo di
significato senza un contesto adeguato. È indiscutibile che la donna, come
l'uomo, abbia il sacrosanto diritto a decidere del proprio corpo; ciò di cui si
dibatte, infatti, non è questo, ma se tale diritto possa essere esercitato a
scapito di un altro essere umano. Di qui la necessità di
determinare se il feto sia un essere umano o meno, o quando lo diventi.
L'inconsistenza dell'argomento è palese laddove si rifletta sul fatto che,
ammesso che si consideri il feto un essere umano, almeno metà dei feti abortiti
sono “corpi di donna” a cui si sottrae qualsiasi diritto di autodeterminazione.
Di passata, inoltre, è indispensabile far notare che l'essere umano non si
riproduce per partenogenesi, quindi, a rigore, nel ventre gravido non
è presente solo la madre, ma anche il padre; aspetto, quest'ultimo, le cui
implicazioni i sostenitori dell'argomento tendono a trascurare e a
disconoscere. Sia quel che sia, il tema della gravidanza è comunque un
argomento destinato, ironicamente, a perdere l'egemonia femminista: la teoria
del gender che si sta imponendo progressivamente, infatti, sottrarrà al
femminismo il suo cavallo di battaglia, non potendosi più affermare la
maternità come prerogativa femminile, e si passerà ad un più generico (e
zootecnico) diritto all'autodeterminazione del ventre gravido. Come per altre
battaglie ideologiche, il femminismo, dopo essere stato un'utile base di
consenso militante, sarà anche stavolta sconfessato e scaricato dai padroni del
discorso, i quali prediligono in questa fase il più avanzato orizzonte
genderista.
3. Troviamo poco convincente l'argomento secondo cui
la legalizzazione dell'aborto sarebbe necessaria per arginare i rischi legati
alla clandestinità e all'illegalità. Nei paesi in cui l'aborto è illegale, lo è
perché lo si considera un crimine a partire da un quadro etico e normativo di
riferimento. In genere, un crimine non si affronta rendendolo legale, ma
estirpandolo o punendolo. Sarebbe come dire che siccome la gente viola
frequentemente i limiti di velocità, i limiti di velocità andrebbero alzati.
Che vi sia un rischio sanitario nell'abortire clandestinamente, che tale
rischio sia maggiore per i poveri che per i ricchi, che l'aborto sia da sempre praticato
a prescindere che sia considerato lecito oppure no, è sicuramente vero, ma non
ha pertinenza con le domande poste, né con il piano del discorso su cui ci si
sta interrogando.
4. Varie proposte sono state formulate per stabilire
il limite tra umano e non umano (attenzione: non abbiamo parlato di vita in
generale, ma di essere umano portatore di dignità e diritto). Facciamo notare
che collegare univocamente l'umanità alle facoltà senzienti e razionali, o alla
piena funzionalità psico-motoria, rende per definizione anziani, disabili
fisici e psichici, nonché molti ammalati, non umani. Serve ricordare dove
conduce questa linea di pensiero? Più coerentemente altri hanno indicato la
nascita del bambino come criterio di demarcazione. Anche in questo caso, però,
si sollevano quesiti ineludibili: ad esempio, un bambino nato prematuro di otto
mesi in che cosa sarebbe più umano di un feto di otto mesi nel grembo materno?
Altri hanno scritto che la questione è irrilevante, o che in tale materia è
possibile e opportuno ricorrere a una convenzione o a un compromesso. Ci
sentiamo di dire che la questione secondo noi è altamente rilevante, visto
che permette di distinguere l'omicidio (anche se legale e socialmente
accettato) dall'intervento chirurgico.
Concludiamo queste brevi note ricordando che non
abbiamo alcuna pretesa di insegnare a qualcuno cosa sia giusto o sbagliato.
Esso dipende, infatti, dalle assunzioni che una persona fa proprie e dai
principi che riconosce. Assunzioni e principi possono essere discussi ma non
dimostrati, e la scelta che uno fa in merito ad essi dipende essenzialmente da
fattori extra-razionali. Al netto di questo, tuttavia, consideriamo doveroso
comprendere dove portano le assunzioni e i principi che si sposano, e a partire
da ciò, farsene carico responsabilmente. Dal nostro punto di vista, definire
arbitrariamente cos'è un essere umano, apre a indefinite possibilità di
riduzione del debole e dell'indifeso a pura materia inerte a disposizione di
coloro che godono, invece, del riconoscimento sociale alla piena umanità. Le
potenziali applicazioni di questo principio sono a dir poco terrificanti, e
temiamo che molti stentino a rendersi conto che, come per altre battaglie
analoghe, anche in questo caso quella che viene presentata come una lotta per i
diritti, rischi di rivelarsi il più insidioso dei cavalli di Troia.