Nel nostro tempo, polveroso e pacchiano teatro dove
i palcoscenici social e televisivi la fanno da padrone, le idee e le opinioni
divengono uniche, granitiche, massificate per plasmare le persone, renderle
deboli, influenzabili, facilmente controllabili, convertirle in merce di
scambio, in algoritmi, in consumatori compulsivi. L'overdose di dati a cui
siamo sottoposti, gli shock visivi, le immagini penetranti, taglienti come
rasoi, inquinano il dibattito che diventa vuoto, scolorito, tossico, come una
nube che cela la verità, come un nero sudario in cui è avvolto un corpo che è
ancora vivo, ma non sa più di esserlo, che vela gli occhi, tappa la bocca,
affanna il respiro. Ciò che viene affermato da influencer ed opinionisti, da
conduttori e giornalisti, da politici e massime autorità dello Stato, viene
negato poi dagli stessi, per essere di nuovo affermato, in un frullatore
d'informazioni che mescola la verità e la menzogna in un cocktail micidiale che
avvelena l'anima, confonde le acque, che inchioda in un universo in cui è
sempre più difficile distinguere tra realtà ed artifizio, tra giusto e
sbagliato, tra sonno e veglia.
Se c'è una lezione da imparare, pena l'oblio, osservando con distacco quasi clinico questi anni bui di delirio assoluto, è che basta pochissimo per controllare un popolo. Non serve, quasi mai, il ricorso alla violenza, ma basta semplicemente convincerlo di essere libero, di compiere in maniera indipendente e scevra da condizionamenti le proprie scelte. È sufficiente, infatti, orientarne vizi, convogliarne entusiasmi, soffiare con zelo sul fuoco di ataviche paure, per recidere ex ante ogni forma di ribellione, ridicolizzare il dissenso, per trasformare la sua stessa esistenza in una grottesca commedia dove è relegato al ruolo di misera comparsa, in cui ogni pensiero o ragionamento divengono banali, elementari, scarni, poveri di contenuti, tendenti ad un superfluo travestito da necessità, dove il tutto è falso, ed il falso è tutto.