All'ordine
democratico seguirà quello post-democratico, così come all'orizzonte moderno ha
fatto seguito quello post-moderno. Entrambi, al medesimo tempo, realizzazione e
fallimento della realtà che superano. L'antinomia appare dunque la cifra dei
nostri tempi.
L'alba
della modernità fu la fiducia ingenua e indiscriminata nelle facoltà
orizzontali dell'uomo e nella razionalità immanente alla natura e alla storia.
Questa visione programmatica andava a contrapporsi, ideologicamente, a un
astratto mondo di superstizione e oscurantismo con cui, in misura più o meno
assoluta, venivano identificate tutte le epoche precedenti. All'immobilismo
delle culture tradizionali, il cui sforzo era teso a custodire e tramandare il
proprio deposito nel tentativo di sottrarlo al tempo e alla corruzione, la
modernità contrappose il mito del progresso, secondo cui la vicenda umana
percorre un cammino lineare ascendente, la storia appunto, che mira a compiersi
gradualmente nel tempo.
Il
post-moderno, ossia l'orizzonte in cui, cinicamente, ogni certezza dilaga,
sostituita da un relativismo radicale e dalla consapevolezza della
provvisorietà di ogni orizzonte di senso, non fu semplicemente l'esito della
delusione scaturita dal venir meno del moderno alle sue promesse: fu piuttosto
il suo reale compimento secondo i propri medesimi presupposti. Il moderno,
infatti, prometteva un mondo svincolato da principi trascendenti; un Eden
profano eretto sulla razionalità, compreso dalla scienza e realizzato dalla
tecnica.
Un
mondo interamente umano, tuttavia, non poteva che ereditare la tara principale
dell'umanità stessa, ossia l'assenza di un centro. Le civiltà tradizionali
riconoscevano all'uomo il ruolo pontificale di mediatore tra terra e cielo, tra
eternità e tempo. Il mondo a cui l'uomo moderno abdicava altro non era che il
luogo in cui tale mandato era solidamente realizzato nel costante volgersi al
principio. Perso tale riferimento, la razionalità si rivelò incapace di
produrne uno alternativo dotato della solidità necessaria a reggere un ordine
stabile di verità. L'esito fu di generare, da una parte, una scienza acefala,
orientata produttivamente e dagli esiti potenzialmente inumani, e dall'altra
una forma di nichilismo radicale e disperato, da cui l'ottimismo moderno fu
sopraffatto e atterrito.
La
democrazia nacque da esigenze affini a quelle moderne. Essa mosse
dall'ottimistica volontà di superare il dispotismo tradizionale, ossia l'idea
di un potere conferito dall'alto secondo principi considerati immutabili, in
quanto conformi ad una verità trascendente. In tal modo si intese affermare,
nell'ambito politico, il primato dell'uomo concreto e storico, svincolato dal
suo mandato metafisico. A fronte di un sistema concreto di dignità e virtù, che
definivano l'ordine gerarchico tradizionale, si preferì l'astrazione giuridica
ed economica, espressione della nuova esigenza di razionalizzazione della
società.
Per
come la si intravede, non sorprende che la post-democrazia appaia oggi,
similmente al post-moderno, come la negazione e, al medesimo tempo, la
realizzazione della realtà che la precede. Essa, infatti, si realizzerà
progressivamente mantenendo intatte le strutture democratiche, svuotate di ogni
residuo di eticità, in vista del dispiegamento della pura esigenza razionale.
Dominio, controllo e ottimizzazione: l'umano sacrificherà se stesso all'inumano
nel tentativo disperato di affermarsi. Post-moderno e post-democrazia si
riveleranno allora, nel loro compimento, come il volto tragico e trionfante del
medesimo fallimento storico.