Ultimamente si parla spesso e con poca cognizione di causa, della cosiddetta "selezione naturale". Secondo il modello classico, essa non si realizza nella morte dell'individuo debole o svantaggiato, ma nel suo insuccesso riproduttivo. In sostanza, la fortuna della specie non sta nel fatto che il debole o lo svantaggiato muoiano (cosa che non ha impatto sul destino della comunità biologica, ma solo sulla vita del singolo): sta nel fatto che, morendo prima, l'inadatto ha meno possibilità di riprodursi. Per fare un esempio: risulta selezionato un esemplare che muore giovane ma avendo dato alla luce una prole fertile e numerosa, piuttosto che un individuo sano e longevo ma che non si è riprodotto, per sterilità o impossibilità di accoppiarsi. Fermo restando che siamo molto critici sull'evoluzionismo e sul fatto che spieghi alcunché, e nel dubbio che la nostra società con i propri modelli incoraggi davvero la riproduzione dei soggetti che potrebbero migliorarla - nella certezza che, nonostante tali riserve, pseudocultura e tecnologia hanno arrestato qualsiasi eventuale deriva genetica della specie umana - sarà interessante osservare in un futuro più o meno prossimo se chi oggi invoca la selezione naturale come lo spettro di una giustizia/vendetta divina abbia veramente compreso come oggi stia operando, casualmente o artificialmente, e non abbia preso invece un colossale abbaglio. Perché, vedete, è nella fecondità che si gioca il futuro demografico di una comunità, e non sui decessi. In pratica, chi sarà in grado di avere figli sani e fertili rappresenterà il ceppo umano che ha futuro, e questo a prescindere dall'eventuale longevità dei suoi odierni progenitori. E chi ha orecchie per intendere intenda.