Cancellare gli "intellettuali" miopi

Avrete letto le ultime misure del governo Draghi. Abbiamo, tra le altre cose, l’introduzione dei passaporti vaccinali per salire sul tram sotto casa (neanche i complottisti più sfrenati erano arrivati a predire questi scenari).

Stupiti? Non si può esserlo.

A Marzo 2020 era già tutto chiarissimo, ricordate quelli che cercavano i virus nell'asfalto? Quelli che mascheravano i bambini alle elementari facendo i balletti con i gomiti? Quelli che inseguivano il vecchietto che comprava il pane ad un metro dal proprio comune? Quelli che accerchiavano con gli elicotteri un uomo che passeggiava da solo in spiaggia? E i banchi a rotelle? I plexiglass tra un ombrellone e l’altro? Potremmo scriverne di ogni, mostrando una umanità totalmente allo sbando in piena dissonanza cognitiva indotta dal potere. Deliri su deliri accompagnati da slogan come "nulla sarà come prima", "avanti con la nuova normalità".

Era doveroso, perlomeno da parte degli "intellettuali", comprendere immediatamente che quanto stava accadendo aveva fini non dichiarati e non era una mera questione sanitaria. Non ci sono scusanti per non aver denunciato lo scenario globale. Indi per cui, tutti quei pensatori, artisti, insegnanti, filosofi, sociologi, psicologi ed intellettuali di vario genere, e potremo farne una lista molto lunga (alcuni hanno cambiato idea solo successivamente), che non hanno capito SUBITO quanto stava accadendo, hanno perso qualsiasi credibilità.

Bisognerebbe anche liberarsi dei loro testi passati; d’altronde cosa possono insegnare costoro? Questa era la prova del nove. Hanno dimostrato di non saper leggere la realtà, di non conoscere le basi della manipolazione, della propaganda, di come agisce il potere in epoca postmoderna. Non hanno altresì analizzato seriamente i processi che hanno reso possibile tale deriva.

Di fronte ad una situazione nitida sin dal primo giorno, hanno avallato una narrazione demenziale, dimostrandosi incapaci di leggere il reale. E badiamo bene che dentro il calderone ci sono finiti tantissimi personaggi di livello, che si occupano da una vita di certi argomenti. Pensate ad esempio a Chomsky, fine linguista ed esperto di comunicazione, diventato oggi un sostenitore dei lockdown. Pensate al coreano Byung Chul Han, filosofo analista dei nostri tempi, ridotto ad essere un "covidiota" qualsiasi, o allo psicologo nostrano Recalcati ormai in preda a interpretazioni fantasiose ed ipocondriache del reale.

Ma ce ne sono tantissimi altri che ci hanno lasciato basiti per la loro miopia.

Bisognerebbe togliere definitivamente lo status di “intellettuale” a tutti coloro che non hanno saputo leggere correttamente la "pandemia" da una prospettiva ampia, critica e multidisciplinare. I loro testi passati? Evidentemente erano solo fisime, blande intuizioni ed intellettualismo fine a se stesso.

Un Foucault, un Illich o uno Junger non si sarebbero certamente accodati ad una narrazione simile, ne siamo certi.



L'utilità del green pass

No, non è vero che il green pass è un fallimento. In realtà, il lasciapassare verde funziona benissimo. È incredibilmente efficiente nel seminare odio e confusione, nel trasformare diritti in concessioni, nel porre le basi per un sistema di crediti sociali destinato a sconvolgere in maniera irreversibile la tradizione giuridica occidentale. È perfettamente idoneo a ghettizzare, pregiudicare la sopravvivenza, isolare, criminalizzare una parte considerevole di onesti cittadini che si muovono nell'alveo della legalità, rei di non essersi piegati dinnanzi ad un abominio morale e costituzionale. A costringere il popolo a continue iniezioni, pena la sua revoca. No, non è vero che il green pass è uno strumento fallace. De facto, è particolarmente rispondente ai fini per cui è stato posto in essere: minare il principio di legalità, quello dell'habeas corpus e della certezza del diritto, ristrutturare la società attraverso regole comportamentali e rimodulazioni di abitudini, edificare nuovi paradigmi economici mediante la mortificazione della piccola e media impresa, sdoganare e legittimare la pretesa punitiva dello Stato nei confronti del "dissidente", del disobbediente. No, non è vero che il lasciapassare verde non funziona. Purtroppo, ahi noi, è un meccanismo oramai oleato e sorprendentemente efficiente. Utilissimo, nostro malgrado, a chi ha deciso, fin dal primo giorno, che nulla sarebbe stato più come prima. Con buona pace di chi si ostina, imperterrito, ad analizzare lo scellerato provvedimento soltanto da un punto di vista sanitario.

Cui prodest scelus, is fecit.




Dieci anni di Weltanschauung Italia (2011-2021). Silloge di pensiero altro

Sono trascorsi dieci anni dall'inizio di quell'esperienza di pensiero chiamata Weltanschauung Italia. Un laboratorio virtuale che ogni giorno sviluppa riflessioni, indicazioni e proposte in vista dell'esercizio del pensiero critico, o di quello che noi chiamiamo diversamente pensiero altro. Percorsi che alternano meditazione e provocazione, analisi e polemica, cronaca ed ermeneutica, senza la pretesa di esaurire la complessità del reale in schemi o ideologie, ma semmai di far emergere tutta la problematicità di un interrogare genuinamente indipendente.

Abbiamo deciso di celebrare questa decade con un'antologia che raccoglie una scelta di contributi di varia natura, pubblicati negli anni su canali diversi e in occasioni disparate. L'intento è consegnare al lettore non solo una sintesi della visione che Weltanschauung Italia esprime e propone, ma anche restituire la forma in cui l'esercizio del pensiero è coltivato nel nostro laboratorio.

"Dieci anni di Weltanschauung Italia (2011-2021). Silloge di pensiero altro".

ACQUISTABILE QUI

Un grazie a tutti coloro che hanno partecipato all'iniziativa e hanno dato il loro contributo alla causa comune.
Un sentito grazie a chi lo leggerà.



Dallo stato di emergenza alla nuova normalità

Tra fine dello stato d'emergenza e nuova normalità non ci sarà alcuna differenza. Si tratterà solo di rendere permanente, ovvero senza scadenze, l'emergenza. 

Sarà un trionfo: l'umanità si stringerà attorno alla comunità scientifica, perché avrà sconfitto la 'letalità' del virus, grazie alla vaccinazione. Avremo la garanzia di poter vivere, senza temere. Purché seguiamo la nuova organizzazione sociale, ovvero richiami vaccinali periodici, uso delle mascherine in determinati tempi e luoghi, impiego massiccio della tecnologia da remoto, sostenibilità, cambiamento del modo di vivere. E green pass, ovviamente, che perderà il suo carattere coercitivo - 'emergenziale' -, diventando un documento di sicurezza personale e collettiva, in realtà garantendo - sotto le mentite spoglie della 'nuova normalità' - l'obbligatorietà vaccinale. Perché va da sé, che se il green pass varrà dappertutto, e sarà soggetto a scadenza, potresti trovarti in qualsiasi momento tagliato fuori da tutto. Ma questo non accadrà mai. Proprio in considerazione della nuova normalità raggiunta, che renderà tutto 'naturale' e 'ordinario', parte necessaria dell'ordinamento sociale. D'altronde nessuno oggi rifiuterebbe il rilascio della carta d'identità o del tesserino sanitario per poter accedere ai servizi 'offerti' alla collettività. Se il green pass servirà al cittadino ad attestare lo stato vaccinale, nei luoghi di lavoro e a scuola non sarà più necessario, perché detto status sarà conosciuto e periodicamente verificato. Modifiche al testo unico della sicurezza sul lavoro, definiranno nello specifico le nuove procedure di controllo. 

Dunque che lo stato di emergenza possa cessare domani, o tra due anni, non farà alcuna differenza. Le parti conosciute finora, verranno riorganizzate in un nuovo insieme, che definirà la nuova normalità.

La cosa più divertente, è che verrà detto 'ne siamo usciti', quando invece ci saremo pienamente entrati.



La nuova normalità

Nella nuova normalità siamo tutti malati, anche se sani.

Nella nuova normalità l'interesse collettivo annichilisce il singolo e le sue libertà fondamentali, sotto il prorompente vessillo della salute pubblica, unico bene da tutelare ad ogni costo e con ogni mezzo.

Nella nuova normalità non è contemplato il dissenso, non è consentito il dibattito, non esiste più vissuto ed esperienza, non è lecito porsi domande sullo sconvolgimento circostante, sul profondo mutamento in atto.

Nella nuova normalità si vive distanziati, mascherati, sotto la costante minaccia di chiusure e restrizioni anche se tutta la popolazione fosse "immunizzata", con un quadro normativo cangiante , sempre più stringente ed in perenne evoluzione.

Nella nuova normalità la tua carne, i tuoi nervi, il tuo intelletto, il tuo libero arbitrio vengono compressi e digitalizzati, riducendosi miseramente a QR code, espressione della cessione del tuo corpo alla "scienza" ed allo Stato.

Nella nuova normalità la vita è subordinata ad un lasciapassare totalitario rilasciato attraverso l'inoculazione di farmaci.

D'altronde ce lo avevano detto nel lontano febbraio 2020 che nulla sarebbe stato più come prima. D'altronde se la sono cavata semplicemente con un "andrà tutto bene".



La tolleranza e il rinoceronte di Ionesco

" Sono l'ultimo uomo e lo resterò fino alla fine! Io non mi arrendo, non mi arrendo!" (E. Ionesco)

Tolleranza. Bella parola di cui riempirsi la bocca. Bel concetto per farcire vuoti propositi, rinfrescare vecchi ragionamenti, adornare sillogismi fatui ed oramai privi di propulsione vitale. Ammuffiti, come chi se ne fa portatore. Inconsistenti, come le fondamenta su cui poggia ogni facile cliché.

Tolleranza. In nome della quale le masse hanno manifestato in ogni piazza, facendosi difensori di qualsivoglia causa alla moda, portata in auge e volgarmente sponsorizzata dai salotti buoni dei retorici parrucconi di palazzo.

Nel 2021 invece, odiano. Predicano repressione. Disprezzano quella che non esitano a definire una sparuta ed incivile minoranza. Vogliono soffocarla, farla tacere.

Negli anni avevano falsamente difeso i lavoratori per poi, oggi, veder morire di fame il loro vicino di casa che non si adeguava ai diktat governativi.

Avevano espresso il loro pubblico sdegno sulle leggi "ad personam" di un famoso leader del centrodestra, per poi tacere dinnanzi allo stupro perpetrato ai danni dei diritti dell'uomo.

Parlavano a vanvera di libertà, ma poi hanno goduto delle repressioni nei confronti di chi legittimamente la invocava.

Avevano bramato l'abolizione dei confini, per poi finire ad avallare un lasciapassare totalitario.

Siamo veramente immersi, nostro malgrado, nel teatro dell'assurdo. Dove il predicatore di ideologie preconfezionate ed a buon mercato subisce la metamorfosi involutiva in perfetto soldato di regime, schiumando di rabbia dinnanzi a chi osa dubitare e dissentire. Dove "Il rinoceronte" di Ionesco distrugge, con la sua innata foga, il pensiero critico sostituendolo, con il conformismo e la cieca adesione alla narrazione dominante, trasformandosi in ciò di cui originariamente provava scandalo.

In un mondo di "rinoceronti", restare umani è la vera sfida, l'arduo compito che siamo chiamati ad assolvere.




La costruzione del '”novax”

In apparenza sembra si stiano esercitando due forme di violenza. Una sui non vaccinati, che consiste nella riduzione all'invisibilità sociale, all'annichilimento psicologico, alla demolizione dei diritti. Un'altra, sui vaccinati, che consiste nella somministrazione ravvicinata, asfissiante, ossessiva, coattiva, di dosi, motivata dall'idea di un'immunità a tempo, precaria e mai costante.

Al nuovo ordine, in realtà, interessa solo la seconda. Solo apparentemente, persegue e demonizza i non vaccinati, ma lo fa unicamente per poter perseguitare i vaccinati. Additando il "novax", tiene in trappola il “provax”. Più esclude il primo, più sottomette il secondo, e lo costringe alle dosi plurime. Al nuovo ordine interessano solo i vaccinati, e usa i non vaccinati per poter accanirsi coi primi. Per costringerli a dosi continue, danneggiarli, ed aprirli alla tecnomedicina.

La costruzione dei "novax" è tanto fittizia quanto essenziale al nuovo ordine, che ha di mira unicamente il vaccinato, ovvero 'colui che deve essere sottoposto a siringaggio permanente'. Il nuovo ordine le sue riserve di odio, non le indirizza, se non mediaticamente, verso i non vaccinati, ma soltanto, e unicamente, verso i siringati, coi costanti richiami negli hub vaccinali, le quarantene, gli effetti avversi, le mascherine, la sorveglianza sanitaria speciale di pubblica sicurezza. Ogni decreto che comprime le libertà dei non vaccinati, è in realtà un decreto che sancisce le nuove misure cautelari dei vaccinati, e le restrizioni dei primi, diventano gli obblighi dei secondi.

Per il nuovo ordine, i non vaccinati sono solo una 'funzione', non esistono se non 'per' dare contenuto all'unico vero obiettivo che sono i corpi dei siringati. L'obbligo delle mascherine, è solo per loro, e non è un caso che ad indossarle all'aperto, siano soltanto loro. Non è un caso che, col 90% di vaccinati, siano ancora obbligatorie in tutti i luoghi chiusi. Al nuovo ordine, dei "novax", non interessa assolutamente nulla. Li usa soltanto per i suoi scopi.

Il corpo intonso, non siringato, non esiste, finché non sarà siringato. Per questo, i "novax" non esistono, non sono più persone, non hanno più diritti. Non già perché qualcun altro li abbia, ma perché non si mettono sotto il giogo del green pass, che serve a punturare all'infinito. Se il non vaccinato è 'cosa', il vaccinato è 'corpo bucato'. Al primo vengono tolti i diritti, al secondo vengono ridati ma soltanto come premio, in cambio della fustigazione fisica, dell'obbedienza alla siringa, del corpo marchiato a QR Code. Come pura ricompensa, al pari dell'animale da circo che compie il numero richiesto prima di tornare in gabbia.

La dichiarazione di morte al non vaccinato, è dichiarazione di morte al suo corpo intatto ed inviolato. Ma tale dichiarazione 'agisce', cioè coglie il suo fine - la 'morte' - solo nei confronti dei vaccinati, perché l'annientamento 'sociale' dei primi, è meramente funzionale alla persecuzione fisica dei secondi.

Non c'è discriminazione, ingiustizia, privazione di diritti. C'è soltanto fame tecnologica e cannibalismo sanitario, siamo al di fuori dei tradizionali schemi giuridici persona-libertà-coscienza. Per stringere nella morsa i corpi, per far procedere tutti, nella stessa direzione, bisogna volgere lo sguardo sugli altri, far finta che l' odio vada verso di loro, che è da loro che bisogna proteggersi e salvarsi.




La privazione della dignità

Dignità: "Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso".

Privazione dell'amor proprio, mortificazione dell'essere umano, totale annientamento della volontà e dell'autodeterminazione: questi sono oggi i sintomi più gravi, più diffusi.

Il fenomeno a cui ci troviamo ad assistere è proprio questo. Una “malattia” che travalica i confini medico sanitari e divora tutto. Un'emergenza che investe ogni aspetto dell'esistenza umana, uccidendo senza pietà lavoro, affetti, rapporti umani. Padri senza possibilità di sfamare i propri figli, giovani a cui è negata la gioventù, bambini dall'infanzia mutilata intrappolati nella "sicurezza" imposta dal sistema.

Il potere oggi vuole azzerare di fatto la "dignità", creando una massa informe e senza volto livellata inevitabilmente verso il basso, rannicchiata, priva di fiducia in sé stessa, passiva dinanzi all'impetuoso scorrere dell'esistenza. Sta qui il vero contagio, il nemico invisibile da combattere.

La vera lotta oggi è quella per riconquistare il rispetto perduto, per noi stessi, per i nostri figli, per amor di verità e di vita. Un uomo privato della sua dignità non è più un uomo.




Italia 2055: un racconto

Italia, 2055. Un timido sole fa capolino tra le nubi sparse di una mattina d'inverno, penetrando debolmente tra le tende e le tapparelle semichiuse delle finestre, illuminando a malapena il freddo monolocale statale che ti è stato assegnato. Sono le 7. Il calore delle coperte, il silenzio, la città ancora in dormiveglia, consentono alle tue membra stanche di riposare ancora un po'. Apri a malapena gli occhi, ancora intorpiditi dal sonno. Sembri uscito da un lungo letargo, eppure sono passate appena sei ore da quando ti sei coricato. Di solito non sogni, eppure stavolta è accaduto. Ricordi ogni dettaglio: la spiaggia sulla quale correvi a piedi nudi, una ragazza che ti invitava ad andare con lei, verso il mare, l'acqua cristallina, il cielo terso, la brezza che sfiorava il tuo viso, finalmente libero di respirare aria pura e rigenerante, scevro da ogni mascherina. Ti scuoti. Il suono della sveglia frantuma l'idillio. Il contatto dei tuoi piedi col pavimento gelato ti riconnette alla realtà. Ti lavi. L'acqua è ancora fredda, per quella calda dovrai aspettare il turno serale. Ti vesti velocemente, anche se oggi non devi lavorare. Dovrai sostenere il colloquio per riacquisire il credito necessario per varcare i confini regionali. Non vedi tua madre da un mese. Non puoi fallire, ti manca terribilmente. La leggerezza del monopattino ti è costata cara. Decidi di prendere la metro. La fila di individui col volto coperto è interminabile. I controllori scansionano tutti i chip sottocutanei dei passeggeri. Per salire a bordo devi aver completato il ciclo di vaccinazioni imposto dal ministero della salute. È il tuo turno. Il tizio si avvicina e ti scansiona. È tutto ok, l'abbonamento è stato riconosciuto, sei in regola. La tua temperatura corporea è di 36.8, poco al di sotto la soglia consentita per viaggiare. Tiri un sospiro di sollievo. Puoi salire. La marea mascherata è ammassata. Sguardi bassi, occhi puntati sullo smartphone. Lo spazio vitale è limitatissimo. Ti manca il respiro, vorresti urlare. Fortunatamente, manca poco alla tua fermata. Scendi di fretta senza fiato, sgomitando tra la folla. Sali col cuore in gola le scale che conducono verso l'uscita. L'ufficio per la "riabilitazione sociale e recupero crediti pass" è situato la terzo piano di un mega edificio di periferia, proprio accanto alla struttura adibita alla vaccinazione semestrale di massa. Dai un'occhiata veloce alla coda per l'iniezione. Il rumore meccanico del braccio robotico adibito all'inoculazione ancora sibila, dall'ultima volta, nelle tue orecchie. Dopo i controlli, entri in una piccola stanza adibita all'esame. Attendi il tuo turno, siete in tre. Tu, fortunatamente, sei il primo. L'esaminatore è un uomo di mezza età, dagli occhi piccoli, minuto, vestito di nero, dallo sguardo tagliente ed il naso aquilino mal celato dalla mascherina. Avvicini il polso allo scanner. La tua situazione completa, finanziaria, giudiziaria, lavorativa appare sullo schermo del burocrate. Ti sembra quasi di scorgere numeri e codici riflessi tra le sue pupille, che si muovono veloci e scattose, illuminate dalla luce squarciante del terminale. " Tasse: ok. Nessuna contravvenzione. Nessun ritardo nei pagamenti. Affitto: ok. Ciclo vaccinale: completo. Nessuna denuncia per opinioni avverse al governo. Fedina penale pulita. Nessuna multa nell'ultimo mese. Nessun ritardo al lavoro. Lei è riabilitato, può essere riammesso in società. Il suo lasciapassare è di nuovo funzionante al 100%. Può andare." Sei sollevato, non vedi l'ora di avvisare tua madre. Dopo un mese, anche se con le limitazioni imposte dalle ferree norme anticontagio, potrai rivederla. Le vostre mani si stamperanno sul vetro divisorio, le vostre anime si toccheranno, anche se i vostri corpi non si sfioreranno. Esci ansioso dall'edificio, estraendo con gioia il tuo dispositivo telefonico dalla tasca della giacca. La chiami.

" Mamma, domenica potrò venire a trovarti finalmente! Sono riabilitato, è tutto risolto" Una lacrima le scende sul volto, incanalandosi veloce tra le rughe delle guance segnate dall'età e dal tempo. Le riaffiorano i ricordi di gioventù....l'ultimo Natale libero, il maledetto virus, suo padre che si opponeva, manifestando con vigore, al regime del terrore che si stava instaurando. Pensa a te, che hai conosciuto solo questo sistema, questo mondo, questa vita. Al fatto che la situazione attuale è solo il frutto della miopia e dell'inerzia del passato. A quest'universo di paura e distanze che la circonda. " Mamma ci sei?" " Si ci sono". La sua voce è rotta dal pianto, che a stento riesce a trattenere. Le sue mani, tremanti, a malapena riescono a tenere lo smartphone che quasi oscilla tra le sue dita magre. " Non vedo l'ora di rivederti amore mio...domenica sarà una splendida giornata."



Nichilismo generazionale

Se si pensa ai modelli di gioventù militante che negli ultimi anni il mainstream ci ha proposto - a base di dreadlocks e impermeabili gialli, con variazioni nostrane sott'olio – ci si rende conto della grande parodia che essi rappresentano. Esibiti come ribelli e romantici paladini dell'anti-sistema, altro non erano (e non sono) che una tautologia del lecito, una banale ripetizione del discorso condiviso  con piglio irriverente. In pratica, null'altro che la fiera ammissione della piena adesione agli imperativi dell'epoca, siano essi l'immigrazionismo spinto o l'inclusività ad ogni costo, l'ecologismo green o il globalismo oltranzista. Ribellarsi alla ribellione pare essere, in sintesi, l'unico adagio di queste generazioni adagiate.

Eppure, nel nostro immaginario permane l'idea che la giovinezza sia l'età di un'irrequietezza indomita, di un'insaziabile sete di vita, di una generosa disponibilità a possibilità estreme. L'epoca in cui si suole osare come in nessun'altra, per incoscienza forse, o ingenuità, o perché non ancora condizionati dalla mediocrità dilagante. Un'età di assoluti, e pertanto di ideali; un'epoca di sogni e utopie. Un'età che, la storia insegna, può essere capitalizzata in vista del cambiamento, della rivoluzione, della svolta - mai del conservatorismo, semmai della reazione - perché la stella del nuovo, qualsiasi nuovo, la guida e la informa. Dov'è finita questa gioventù? In quale autorappresentazione si è spenta?

Se, come scrive Nietzsche, il nichilismo è lo svalutarsi di tutti i valori, crediamo non sia azzardato affermare di trovarci di fronte a una forma di nichilismo generazionale che non ha precedenti. A differenza di alcuni movimenti giovanili del secolo scorso, descritti come nichilisti, ma che in realtà affermavano il nulla per rivendicare l'essere, qui ci troviamo di fronte a qualcosa di profondamente diverso. Un nichilismo senza rancore, senza pathos, a carattere non episodico ma diffuso, inconsapevole e non meditato, che non chiede redenzione o riscatto, ma solo un divano su cui consumarsi. Se il sale perde il suo sapore, anche le lacrime non sono che acqua.



Prima vennero...ma io...

Prima vennero... ma io...

Prima vennero a cercare chi dubitava sulla veridicità delle narrative delle guerre mondiali, ma io non dissi niente perché credevo alla versione dei "liberatori".

Poi vennero a cercare chi criticava Israele e le sue politiche, ma io non dissi niente perché non era un problema mio e magari ero pure moderatamente sionista.

Poi vennero a cercare chi era "neofascista", ma io non dissi niente perché ero "comunista" o liberale o "demo-cristiano".

Poi vennero a cercare chi era "comunista", ma io non dissi niente perché ero "fascista" o liberale o "demo-cristiano".

Poi vennero a cercare chi dubitava di ogni versione ufficiale degli eventi, ma io non dissi niente perché credevo alla versione mediatica.

Poi vennero a cercare chi criticava le politiche economiche dell’ Unione Europea, ma io non dissi niente perché ero un convinto europeista ed ero indifferente alle sorti di chi cadeva sotto la scure dell' "austerity".

Poi vennero a cercare chi criticava il liberismo economico e il liberalismo culturale, ma io non dissi niente perché ero convinto che la nostra fosse la migliore delle società esistenti, pur con i suoi difetti. Io credevo nell'evoluzione, soprattutto quella sociale, e credevo che rispetto al Medioevo, ma anche al '900, fossimo nettamente migliori e migliorati; io confondevo l'evoluzione tecnologica con l'evoluzione umana.

Poi vennero a cercare chi criticava le politiche anti-russe o anti-iraniane, ma io non dissi niente perché non mi interesso di politica estera e tanto meno delle guerre americane/occidentali e comunque noi siamo i buoni perché abbiamo la democrazia liberale.

Poi vennero a cercare chi criticava la guerra di liberazione del '45 e la conseguente occupazione del territorio italiano con la NATO e le numerose basi americane sul territorio nazionale, ma io non dissi niente perché credevo alla protezione americana e comunque di politica mi interesso poco.

Poi vennero a cercare sia chi criticava la reale esistenza del pericolo di un terrorismo islamico, sia chi sosteneva che fosse un fenomeno artificiale per scopi politici di alcuni centri di potere , che il problema fosse molto più complesso e che andava ricercato nella politica imperialista, mondialista e globalista di alcuni governi o centri di potere occidentali, ma io non dissi niente perché alla fine se tutti mettevano un "pray for" su facebook mica volevo sentirmi fuori dal coro e se tutti lo facevano, la ragione sta lì: è una questioni di numeri, mi han sempre insegnato che la maggioranza in democrazia ha ragione.

Poi vennero a cercare chi criticava il controllo e lo spiare digitale sui cittadini o la raccolta dei dati dei cittadini da parte delle multinazionali, ma io non dissi niente perché lo reputavo un sacrificio accettabile per avere la tecnologia e tutto sommato pensavo che fosse da retrogradi opporsi all'invadenza della tecnologia.

Poi vennero a cercare chi non voleva una immigrazione selvaggia e chi sosteneva che non fosse un fenomeno spontaneo, chi affermava che il problema fosse molto più complesso e che andava ricercato nella politica imperialista, mondialista e globalista di alcuni governi o centri di potere occidentali, ma io non dissi niente perché sono per i "porti aperti" e odio i limiti culturali di ogni tipo, pensavo fossimo tutti uguali e interscambiabili.

Poi vennero a cercare chi si opponeva al vittimismo neo-femminista, all' "ideologia gender" nelle scuole e chi si opponeva alla narrativa che il sesso fisico non esiste perché è un "costrutto sociale", ma io non dissi niente perché davvero pensavo che fosse giusto riscrivere tutti i parametri della società, a partire dal concetto di famiglia.

Poi vennero a cercare chi criticava l'obbligo vaccinale, ma io non dissi niente perché credevo ai dati e alle imposizioni delle istituzioni.

Poi vennero a cercare chi criticava i dati e la veridicità delle "pandemie" che si sono succedute nel corso degli ultimi anni e soprattutto le modalità di contrasto, ma io non dissi niente perché mi fidavo della "scienza" e del circo mediatico.

Alla fine vennero a rinchiudermi in casa senza nessun diritto, ma ormai non era rimasto nessuno a difendermi e a dar sfogo alla mia frustrazione, disappunto, sorpresa e stupore.

Ma tutto sommato ancora non credo che ci sia un problema, spero che "tutto andrà bene", mi han lavato così tanto il cervello che non riesco a credere a niente se non che alla mia piccola insignificante vita personale e a volte neanche a quella, la posso sacrificare se "il sistema" mi dice che c'è un'emergenza nazionale. Io mi fido!

Alla fine, e non senza qualche ragione, se anche fosse rimasto qualcuno, forse mi farebbe una bella pernacchia. Lui alla "solitudine" e all' "isolamento", se non altro intellettuale e mentale, ci era abituato da tempo. Per voi invece sarà un tracollo psichico, emotivo, materiale ed emozionale. Il vostro mondo di convinzioni cadrà come un castello di carta, ma chi fino ad oggi aveva abituato il cervello, la psiche e la mente a non farsi ingannare dalla stampa, dai governi sedicenti democratici, dalle istituzioni sovranazionali e dalla narrativa ufficiale, non si stupirà degli avvenimenti. Chi negli anni si era premunito di coltivare la spirito non si farà trovare impreparato. Arrabbiato sì, ma non impreparato.

Nel corso degli ultimi decenni si è sviluppata, come se ci fosse una regia ben coordinata, una progressiva divisione di popoli e di comunità creando finte contrapposizioni o esasperando le divisioni naturali esistenti: han messo destra contro sinistra, fascisti contro antifascisti e/o comunisti, uomini contro donne, omosessuali contro eterosessuali, hanno spaccato le famiglie in ogni modo, han messo una generazione contro l'altra, genitori contro figli, scuola contro famiglia, alunni contro professori, han messo vegani contro carnivori, poveri contro ricchi e ricchi contro classe media, operai contro datori di lavoro, governi contro i datori di lavoro e operai, han messo l'idraulico o il piccolo artigiano evasore come responsabile di ogni male economico, han messo una religione contro l'altra, esasperando l'integrazione e l'immigrazione forzata han messo una razza contro l'altra, con l'UE hanno messo un popolo europeo contro l'altro, han messo animalisti contro cacciatori, ecologisti contro tutto e tutti, ma meno che contro i responsabili veri e propri. 

Ma io ovviamente non volevo vedere questa regia coordinata, davo del complottista (e a volte del razzista o dell'omofobo o del nazista o del maschilista) a chi provava a dirmi che non andava tutto bene, a chi provava a dirmi che dei piani di "complotto" esistono e son sempre esistiti, a chi provava a dirmi che sono i piccoli gruppi elitari ben organizzati che scrivono la lavagna delle masse, a chi provava a dirmi che i governi occidentali degli ultimi 70 anni han sempre fatto politiche di ogni tipo contro i propri popoli e che quando dicono che fanno qualcosa per te vuol dire che c'è dietro un inganno, a chi provava a dirmi che la democrazia moderna è uno specchio per allodole; ma io credevo alla casualità degli eventi, non ero in grado di correlare le cose in un quadro organico, per me era tutto disgiunto e separato, disgiunto così come alla fine mi voleva il sistema e così come il sistema voleva le società e le comunità; per me ogni cambio sociale e culturale imposto dal sistema o ogni "problema nuovo" sottoposto al paese era davvero spontaneo e volto a un miglioramento. Per me davvero si viveva in democrazia.



Appunti sul grande reset

Una questione politica

La situazione pandemica iniziata nel 2020 non è una mera questione economica, è più generalmente una questione politica, nel senso che tutto quel che riguarda la collettività è politica, che sia una scelta artistica, una scelta economica, una scelta sanitaria o una scelta educativa/scolastica.

Dietro al grande reset e alle agende c’è una vera e propria filosofia. L'ideologia/filosofia (ossia visione del mondo) che sta dietro i cambiamenti è una ideologia transumanista e maltusiana (capendo il pensiero di Malthus si capisce come si innesta il discorso Green). E come ogni ideologia che si rispetti, necessita di creare anche un uomo nuovo, che sia funzionale alla loro visione filosofica (ad esempio, la rivoluzione francese ha tagliato le teste dell'uomo non borghese, che non poteva rientrare nella nuova idea di umanità, il comunismo ha mandato nei gulag gli uomini che non potevano o volevano integrarsi nel nuovo sistema ecc). Una visione ipercapitalista con multinazionali che assumono anche ruoli politici, monopoli totali di poche ipercorporazioni. Abbiamo poi la digitalizzazione transumana. Un essere umano "socialmente distanziato", senza più possesso del proprio corpo, controllato al 100%.

L'ideologia LGBT ed il Great Reset

L'ideologia LGBT non ha nulla a che fare con una giusta difesa delle minoranze o del bullismo su un omosessuale. La tattica è sempre la stessa, si prendono problematiche vere, le si ingigantiscono e ci si costruisce sopra una ideologia. Nello specifico l' ideologia LGBT sfrutta i temi del mondo gay per portare avanti un cambio antropologico, un cambio a cui vogliono arrivare le elitè finanziarie e neo-capitaliste mondiali in obbedienza alla loro filosofia/ideologia. In che modo? Puntando innanzitutto sulle scuole. Con la scusa di insegnare il rispetto, la tolleranza, la lotta alle discriminazioni, insegnano ai bambini (se prendi i bambini hai preso il futuro e costruisci l'uomo del domani) che il sesso biologico non corrisponde al sesso con cui ti identifichi, che uomo e donna son costrutti sociali, che oggi puoi essere uomo e domani donna e viceversa. Se abbatti l'identità sessuale (o la rendi "fluida"), che è la forma di identificazione più forte e basilare, hai definitivamente abbattuto l'uomo.

Un cambio antropologico radicale.

In altre parole lo scopo è creare una umanità labile, fiacca, debole, senza identità/radici solide e sicure (che siano religiose o sessuali o culturali, nella nuova antropologia devono essere "fluide") e di conseguenza facile da controllare. Una umanità che non contesterà mai; in nome e per cosa contesterebbe un uomo che non sa neppure di essere uomo o donna, a cui hanno distrutto qualsiasi punto di riferimento?

Stanno massacrando la psiche dei bambini per avere un domani uomini impossibilitati a una qualsiasi opposizione o reazione. Schiavi perfetti, ma senza catene, senza sapere di esserlo, perché se allo schiavo metti una catena prima o poi si vorrà liberare, ma se non le ha, mai avrà neanche l'idea di essere schiavo.

Divide et impera

Dividere e comandare: hanno messo uomini contro donne, gay contro etero (sempre grazie all'ideologia LGBT), vegani contro carnivori, masse autoctone contro immigrati (le immigrazioni di massa sono un altro fenomeno totalmente artificiale e gestito dall'alto per creare pressioni politiche e destabilizzazioni sociali, per spaccare le società di partenza e di arrivo ). Si sono inoltre inventati i "vax" e i "no vax", i "no qualcosa" e i "sì qualcosa", si inventano mille categorie (o ingigantiscono quelle già esistenti) per tenere i popoli divisi all'interno, per sfiancarli, per tenerli distratti in litigi secondari, mentre in alto si mangiano il welfare, distruggono lo stato sociale, il lavoro, la scuola, la sanità.




Credere nella scienza, diffidare dello "scienziato"

 Lo stato emergenziale da anni si regge su un "état d'esprit" opportunamente coltivato da una serie di agitatori culturali a cui attribuire indipendenza e buona fede è sempre più problematico.

Da una parte titoli e credibilità delle voci avverse sono costantemente discussi e ridimensionati, dall'altra si esaltano competenze e qualifiche di figure utili alla propaganda al fine di rinforzare e rendere stabile la narrazione vigente.

Ad esempio, si è prestato alla causa il premio Nobel Parisi, sempre citato con il titolo da biglietto da visita (nel suo caso il premio Nobel è un attestato di credibilità da esibire, a differenza di quello di Montagnier, che è invece ininfluente e frainteso).

Il fisico, che si esprime su qualsiasi questione avvolto dal suo mantello di autorevolezza, è evidentemente anche virologo, politologo, climatologo, epistemologo, sociologo, esperto di politiche energetiche, sanitarie, economiche ed ambientali, e chi più ne ha più ne metta. Un caso pressoché unico di Nobel assoluto. Cavaliere della scienza contro l'antiscienza, bolla come antiscientifica qualsiasi posizione non sia quella dell'agenda mondialista, che in pratica esprimere il senso e la verità unica della società. Peccato che quando esce dal suo territorio specialistico, i toni da propaganda che usa, le stereotipizzazioni e le generalizzazioni tranciate con l'accetta, siano francamente imbarazzanti e spesso addirittura di livello più basso di quelle della stampa generalista. Ad esempio, la sua caricatura del "novazz" è assolutamente irraggiungibile pure dai più beceri salotti televisivi.

Credi nella scienza (quella vera, aggiungiamo noi) ma diffida dello scienziato, diceva un lungimirante intellettuale che aveva compreso che il sapere è puro, ma l'uomo raramente ne è all'altezza.



Convincere e sanzionare

La retorica del "convincere" e del "sanzionare" è dilagata ovunque in epoca pandemica. Merita soffermarvisi.

Chi, ad esempio, sceglie di non vaccinarsi non va "convinto". Non è, in genere, uno che non ha chiara la situazione, o non si è informato, o è obnubilato dal terrore. È una persona che ha scelto come e dove informarsi, ha formulato una propria valutazione, ha esercitato un diritto. Esattamente come (si presuppone) chi ha deciso di vaccinarsi. Ecco che allora l'espressione "convincere", associata a misure che si dichiara esplicitamente essere adottate a scopo persuasivo, diviene particolarmente sinistra. Cosi come la sempre più sfacciata retorica della "sanzione". Le misure restrittive applicate ai non vaccinati sarebbero "sanzioni" adeguate allo scarso senso civico. Peccato che l'esercizio di un diritto non si sanzioni, o non è tale. O si modifica l'idea di diritto, mettendo in discussione alle radici l'ordinamento giuridico in cui viviamo, oppure l'idea di sanzionare libertà definite è aberrante e criminale.

Entrambe le espressioni, "convincere" e "sanzionare", denotano una mentalità autoritaria e un assoluto disprezzo dello stato di diritto, pericolosi perché introiettati nel linguaggio e pertanto non consapevoli. Tali fattori, nella popolazione indicano un senso civico pressoché assente e una sostanziale ignoranza dello stato e delle istituzioni. Perlomeno una gravissima distorsione ideologica a cui bisogna rimediare con una intensa opera di "sensibilizzazione".

Presso politici, giuristi e costituzionalisti, tale distorsione è imperdonabile, con tutto ciò che comporta in termini di fiducia, credibilità e responsabilità morale e civile.



La morte della filosofia, dell'etica e delle scienze umane

Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che la figura dell'intellettuale appartiene al passato, e che essa è stata sostituita da un nuovo modello di uomo di sapere, solidale all'ordine della religione scientista e suo strumento di propaganda militante. Non che l'intellettuale di professione, figura tipicamente borghese e post-moderna, incarnasse chissà quale valore etico o fosse investito di una qualche missione sociale. Egli era tuttavia il residuo di un mondo in cui esistevano istanze che non potevano essere risolte ricorrendo esclusivamente a comitati tecnico scientifici o a modelli previsionali, ma che si riconosceva utile problematizzare anche alla luce della memoria storica, delle scienze umane e della coscienza critica. Dobbiamo riconoscere che quell'epoca, assieme all'ordine borghese, è ormai agonizzante, e che presto qualsiasi attività di pensiero che non sia esclusivamente la celebrazione o l'apologia dell'esistente, sarà relegata all'ambito dell'intrattenimento e tollerata in quanto innocuo diversivo al pensiero unico.

Se ciò è possibile, è essenzialmente perché i principali centri di produzione e diffusione della conoscenza sono stati infeudati a quelli del potere, grazie alla progressiva introduzione di logiche di mercato laddove per definizione l'indipendenza dall'interesse doveva essere garanzia di autonomia, oggettività e merito. Non addentriamoci ora nella penosa storia della graduale compromissione degli istituti scolastici, universitari e di ricerca; accontentiamoci di prendere atto del fatto che le strutture a cui un tempo veniva demandata la formazione di cittadini, politici e uomini di sapere, sono oggi i principali centri di irradiamento di legittimazione e consenso incondizionati.

La recente levata di scudi, in larga misura accademica, contro Cacciari e Agamben è la dimostrazione del fatto che l'intellettuale e ciò che rappresenta gode di riconoscimento, autorità e considerazione finché rimane nell'ambito ininfluente dell'editoria e non tange minimamente la realtà. Quando pretende, invece, di incidere sul reale, facendo valere la sua voce come pungolo critico, va riportato d'autorità nel proprio recinto dai pastori del discorso, che poi altro non sono che esponenti compiacenti di quei luoghi di asservimento da cui il ribelle ha preteso di emanciparsi.

Nel mondo che si va configurando non esisteranno più le condizioni per l'esercizio della filosofia, con buona pace di tutti gli Agamben e i Cacciari che ancora esistono. Non in quanto i filosofi saranno zittiti o censurati, ma perché la necessità di una domanda radicale sul senso e sul fondamento non sarà più avvertita. Così come non sarà più avvertita l'urgenza di una reale e disinteressata interrogazione storica, come ci informa la cancel culture, quale fenomeno di superficie di una carsica e violenta insofferenza verso lo “storicamente altro”. Allo stesso modo, etica e scienze umane, in quanto antropocentriche, dovranno essere subordinate a orizzonti che si considerano più inclusivi, come appunto quello scientista, laddove l'umano è omogeneo all'inumano, e la misura della sua salvezza è la medesima di qualsiasi altra entità biologica.

Siamo prossimi a una svolta cruciale: in un mondo in cui tutto è merce o mercato, il professionista della conoscenza, sia essa informazione, scienza o pensiero, avrà unicamente l'alternativa di essere o la cassa di risonanza dello status quo, o null'altro che un eccentrico ed innocuo produttore di divertissment. Se rifiuterà queste maschere sociali e rivendicherà fieramente la forza e l'efficacia del proprio pensiero, potrà scegliere, a seconda della sua caratura, se essere un folle emarginato o semplicemente un criminale. Tertium non datur. 



Che cos’è la libertà?

Il grande tema di quest'anno è stato la libertà. Nell'attuale situazione di spiccata polarizzazione ideologica, ciascun fronte ha invocato la legittimazione a partire da una particolare – e spesso paradossale - rivendicazione libertaria. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che tale concetto è, nel suo utilizzo politico e non retorico, estremamente problematico. La libertà, pensata nella sua essenza, non è infatti affare da uomini. Il pensiero occidentale, ogni volta che si è spinto radicalmente a interrogarsi sul problema, si è trovato ai limiti delle proprie possibilità. L'ultimo Schelling ci insegna come l'autentica libertà, colta nel suo fondamento abissale, sia appannaggio esclusivo del Principio, realizzantesi in quella oscillazione inattingibile al logos che prelude al darsi dell'Essere, in cui ancora incombe il rischio del Nulla e nessuna possibilità è preclusa. Solo a quest'atto supremo di autodeterminazione converrebbe propriamente la definizione di libero, perché qualsiasi scelta, per essere autenticamente incondizionata, deve contenere in sé anche la possibilità impossibile della sua stessa negazione.

Risalendo da eventi immemoriali di tale portata, appare chiaro come nel dominio della finitezza, la libertà esista solo come un distante riflesso – sempre negoziato e compromesso – di una scelta originaria già consumata e non più attuale. Riferendosi alle tradizioni orientali, i termini che definiscono la realizzazione spirituale sono comunemente tradotti con liberazione, denotando come ciò che si definisce propriamente libertà sia attingibile solo con il superamento di tutti i condizionamenti costitutivi dello stato umano. In che modo, invece, l'uomo comune può dirsi sensatamente libero, sia individualmente che nella società? Come può egli divenire immagine, nella finitezza, della libertà originaria del Principio?

Quest'ultima non può essere realizzata attraverso la sottrazione di singoli condizionamenti. La rimozione di questi sono ciò che chiamiamo le libertà o la libertà da. Ogni individuo e ogni società mediano alla propria finitezza attraverso un realistico compromesso su ciò che è possibile e ciò che non lo è. E' evidente che l'utilizzo del termine libertà, in questo caso, è eufemistico; ogni singola libertà è infatti modulata all'interno di un ordine di limitazioni di cui diviene espressione. Essere liberi da significa non esserlo da altro, e denota che a monte vi è appunto un regime vincolante di cui ogni singola libertà è un'eccezione.

L'essere umano, come individuo e come membro di una società, diviene realmente specchio della libertà originaria solo quando ripete in sé, conscio della propria finitezza, la scelta originaria del Principio per l'Essere. Ossia quando assume responsabilmente la propria fatticità – null'altro che la propria porzione di esistenza – in vista di una vocazione che diviene missione. In altre parole, quando è libero per e non libero da. Essere liberi è allora scegliere di farsi carico della responsabilità di realizzare nel mondo l'immagine dell'uomo e della società che si desiderano, conformemente alla visione del bene e della giustizia che si riconosce di incarnare. Non si è liberi se non nell'assunzione di sé e nell'affermazione nel mondo di ciò che essa comporta. L'uomo libero è dunque l'uomo politico, nel senso più alto che tale aggettivo possiede. Ricordiamolo ogni volta che siamo tentati di abdicare all'impegno.




Un sottile filo rosso

E' giusto che una teoria scientifica decida della vita delle persone?

Nessuno ha un riscontro empirico, esistenziale, che un non vaccinato produca danni alle altre persone. Questa credenza, di fatto, la genera il green pass. Esso non ci dice soltanto che si può morire di cov19, ma che tutti col nostro respirare (ovvero, vivere), ne siamo responsabili, perché gli trasmettiamo la morte. Quindi, il green pass è uno sviluppo logico del lockdown, nella sua fase post-vaccinale. 
   
C'è un filo rosso in tutti gli avvenimenti, fin dall'inizio, ed è la contagiosità dei sani (altrimenti detti, 'asintomatici'). Non vi stanno certo proibendo di lavorare o entrare in una biblioteca perché avete la febbre o fate fatica a respirare, ma semplicemente perché siete voi, senza vaccino. Quindi un pericolo per gli altri. Questo è il cuore della teoria 'malattia cov19', perché senza tale punto, nessun provvedimento politico avrebbe avuto senso. Fin dal lockdown. Questa guerra contro i sani - contro la totalità della popolazione umana, ovvero contro il loro stesso vivere -, è stata fatta in nome di una teoria scientifica. Nessuno può negarlo. Anzi, viene detto costantemente, a provarne la sua bontà. Ma nessuno può anche negare che di questa teoria scientifica, nessuno possa averne concretamente riscontro. Addirittura, a rigore, potrebbe averne solo smentita. Di qui tutti i provvedimenti finora emanati: a negare la possibilità della falsificabilità della teoria scientifica. Ovvero, a 'realizzarne' la verità, nella vita delle persone, al modo di incastonarsi come struttura dell'immaginario. Imponendo infatti mascherine e gel, dando l'illusione - immaginaria - del distanziamento (che nessuno può e riesce a rispettare), le persone vivono 'come se' il loro relazionarsi fosse pericoloso. Senza poter avere percezione diretta, del 'poter essere altrimenti'. Qualcuno se n'è accorto. Chi prima, chi dopo. Che non accade nulla. Ma - lo sappiamo - la scienza ci dice, che tu non puoi sapere. Che il tuo droplet, da Milano, magari è viaggiato fino a Sondrio, e ha ucciso quell'anziano nella casa di riposo, che si è infettato della variante che tu hai trasmesso al conducente dell'autobus che il giorno dopo è andato a Sondrio a trovare un parente. Dobbiamo crederci. Ce lo dice la scienza. Se, solo due anni fa, avessero chiesto agli intellettuali, se questo sarebbe stato possibile - decidere dei diritti fondamentali della persona, sulla base di una 'teoria' -, la stragrande maggioranza, avrebbe risposto: no. Anzi, avrebbero subito ricordato, che questo, era accaduto, un secolo fa. E che non sarebbe mai più dovuto riaccadere. Da due anni, qualcosa è successo. Gli intellettuali si sono trasformati. Le persone si sono trasformate. Qualcosa, di molto forte, ha indotto a questa trasformazione. Nel modo di pensare, di ragionare, di sentire, di vivere le relazioni umane. Si potrebbe dire: è stato il c19. La pandemia ci ha regalato una nuova sensibilità. Ci ha cambiato in meglio. Abbiamo capito l'importanza della scienza. Per le nostre vite. Anzi, per la vita di tutti. Non facciamo una guerra alle persone: è il virus che circola. E la scienza è più forte del virus. Non ce l'abbiamo su con il ragazzo a cui proibiamo l'accesso in piscina: il nemico è il virus. Epperò, a stare fuori dalla piscina, non è il virus, ma il ragazzo. Quindi, questa trasformazione, è fatta di convinzioni e idee mentali. Frutto di una verità scientifica. 
Quindi, è inevitabile tornare alla domanda iniziale: è giusto che una teoria, solo perché 'scientifica' - il che vuol dire poco, perché di teorie la scienza ne ha cambiate parecchie nel tempo, e ha fatto anche morti e compiuti errori -, debba decidere della vita delle persone, fino ad usare la polizia per poter imporre la propria costruzione teorica (fatta di asintomatici contagiosi)? È giusto manganellare, chi non crede a quella teoria? Cos' avrebbero detto gli intellettuali, solo due anni fa? 




La sterilità degli intellettuali in epoca pandemica

L'idea di un uomo pericoloso per sé e per gli altri, se non medicalizzato, è non solo la chiave di tutta la narrazione pandemica, ma anche l'inizio di una nuova era dell'umanità, che vuole passare necessariamente sotto sorveglianza sanitaria, per poter vivere.

Il fatto che gli uomini, così come sono, 'muoiono e fanno morire', è è il dato scientifico per eccellenza, è la 'malattia'.

Il problema degli intellettuali è che non riescono a scalfire questo 'principio', perché non possono porsi contro la scienza. La loro affermazione della libertà e dei diritti 'inalienabili', la critica alla discriminazione, ha come unico esito il naufragio, perché se un uomo uccide respirando chi ha intorno, o chi verrà toccato a distanza dalla sua infezione che intanto si sarà propagata, parlare di 'libertà' e di 'diritti', per come sono stati tradizionalmente intesi, non ha più senso, perché si riferivano all'uomo, così com'era. Non solo all'uomo 'storicamente' inteso, ma all'uomo in quanto uomo. L'uomo medicalizzato, o l'uomo 'paziente', non può più rivendicare un proprio diritto a respirare e vivere, in autonomia. Per questo la Costituzione non ha più senso, perché si riferiva ad un essere umano portatore di diritti e garanzie, 'innocente', la cui presenza doveva essere 'difesa e tutelata'. Anche lo stesso concetto di dignità è da abbandonare, perché legato ad un uomo che aveva dei bisogni fondamentali, da potergli garantire (rispetto, sicurezza, etc...), così come, da abbandonare definitivamente, è la concezione kantiana di un uomo come fine per un altro, perché presuppone un'idea di valore assoluto dell'essere umano, in se stesso. Ma l'uomo che nasce, ed è un pericolo per gli altri, l'uomo-che-uccide, non può conservare, né diritti né dignità.

La sterilità degli intellettuali, nel non saper individuare il principio cardine del nuovo ordine mondiale, e quindi nel non saperlo smascherare in termini di 'costruzione politica' lasciandolo alla 'questione sanitaria', è l'impossibilità del loro incidere sugli attuali avvenimenti. L'impossibilità di affermare, con chiara decisione, che il 'contagioso asintomatico' è una costruzione politica, non un'affermazione scientifica di carattere sanitario.

E' lo stare ai bordi, nello spazio della discussione infinita, inutile, puramente mediatica, ammessa perché rivelatrice di un passaggio storico dell'umanità, su cui in realtà sono tutti d'accordo. Perché nell'era delle pandemie, libertà, scelta e individuo non ci sono più. E questo nessuno lo sta negando. Gli intellettuali, di fatto, con le loro critiche, non prendono di mira il governo o le scelte mondiali. Criticano 'il virus'. Proprio quello che devono 'presupporre', perché non possono essere antiscientifici né militanti negazionisti..

Se, dunque , si accetta che l'uomo 'muore e fa morire', non si può più parlare di libertà e diritti. Lo impone il virus.



Nietzsche e l'uomo covidista

Nel periodo "pandemico", abbiamo potuto osservare come la gente si sia siringata semplicemente per poter continuare a fare le cose di prima.

Senza il green pass, probabilmente solo una piccola percentuale della popolazione si sarebbe vaccinata. 

Non ci siamo dunque trovati di fronte a un'umanità dedita alla scienza. Bensì al nichilismo puro. Non c'è stata nessuna fede nella scienza. C'è stato semplicemente il doversi siringare. Ed il bello è che questo siringarsi, per-poter-fare (lavorare, andare a un concerto, prendere un treno), è quel crepuscolo degli idoli di cui parlava un filosofo il secolo scorso. E', di fatto, la piena attuazione, della fine delle ideologie. Di ogni valore, finora conosciuto. E' l'abbattimento della coscienza, della libertà, della persona, della storia. E' la fine dell'uomo, come l'avevamo conosciuto. 

E' chiaro che eravamo già pronti. Ma qualcosa avrebbe ancora resistito. Grazie alla pandemia, abbiamo definitivamente abbandonato tutto quel mondo. Ci siamo scoperti 'niente'. Cioè, oltre il lavorare, andare a un concerto, andare a un museo, non siamo niente. Solo fruitori, utenti, clienti. Più nessuna idea sulle cose e sul mondo. Sulla vita, e sugli altri. Nessuna idea. Nessun pensiero. Nessuna visione. Nessun desiderio. Nessun io. Nessuna prospettiva. Solo, la pura obbedienza. Obbedire, per poter fare le cose di prima. Obbedire, perché altrimenti non era possibile farle. Tutta la pandemia è stata indirizzata sul nulla dell'uomo, e nell'uomo. E la scienza, è stato il disperato tentativo, di far reggere un'ideologia che ti chiedeva invece di sottomettere il tuo corpo per prendere un treno, o mangiare una pizza al chiuso. Il nulla, quindi, se il discorso verte sul lato 'ideale'.

Nietzsche, senza dubbio, ha visto tutto. E credo lo si capirà bene quando dei racconti di Zarathustra si saprà cogliere l'aspetto conoscitivo, più che quello esortativo. Zarathustra, vede, e non necessariamente vuole, quello che racconta. La sua partecipazione è una finzione scenica. E' probabilmente l'umano troppo umano che c'è in lui, la sua 'malinconia'. La scena del siringaggio al mercato, tra la frutta e la verdura, di una persona che non sa neppure quello che sta facendo, con una risata senza senso, ricorda certe figure dello Zarathustra, nella sua forza dirompente, nell'intensità distruttiva che emana.

L'uomo covidista è l'uomo privo di un qualunque pensiero sul mondo, senza più una ragione, una comprensione di quello che ha intorno. E' la risata ebete del pazzo, completamente staccato, da ogni universo di valori e significati condivisi.



Comprendere la "cancel culture"

La terza parte di “1984” di Orwell contiene quella che potremmo definire un'autentica ontologia del totalitarismo. “Chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato”, sostiene O'Brien. Il tempo ha un valore eminentemente politico: disancorato da un fondo stabile e garantito, diviene materia plastica ad uso e consumo del potere. La chiave è dunque il passato, che secondo l'ingenuo Winston esiste come deposito in quanto memoria, ma che scoprirà ben presto essere invece il prodotto mutevole della pedagogia di regime, in quanto “la realtà esiste nella mente degli uomini, e in nessun altro luogo”. Tale mente, tuttavia, è sovraindividuale: è la mente collettiva e impersonale del Partito, che esso plasma secondo volontà.

La chiave per comprendere la cancel culture risiede appunto in questo nucleo teoretico. Chi del fenomeno percepisce esclusivamente la paradossalità non si rende conto di rimanere ancorato a un'ontologia obsoleta, che il potere cospira per abolire. Ancora una volta la battaglia politica si gioca sul piano della cultura, intesa come visione del mondo integrale. La cultura della cancellazione è prima di tutto una forma estrema di volontarismo nichilista, giacché nega il fondamento dell'essere a favore della volontà manipolatrice. Un autentico idealismo solipsista, laddove però la solitudine qualitativa del soggetto assoluto è sostituita con il vuoto anonimo della massa cementata dall'ideologia.

Nessuno deve ricordare se non ciò che è che si è obbligati a ricordare. O'Brien assimila questa riprogrammazione a un processo di guarigione. La salute è rappresentata dall'esercizio del pensiero fluido secondo le direttive del potere. L'aspetto totalitario della cultura della cancellazione è proprio questo: non basta l'obbedienza né la sottomissione. Ciò che è realmente indispensabile è la ristrutturazione delle categorie di pensiero e della volontà. “E' intollerabile per noi” dice il carnefice “che anche un solo pensiero partecipe dell'errore possa esistere in qualche parte del mondo, pur se nascosto e innocuo”.

A questo punto, affinché l'opera sia completa, è necessario che la volontà, quando si esercita cancellando il passato, cancelli anche il ricordo della sua azione. La volontà, paradossalmente, deve essere inconsapevole di sé. Se serbasse consapevolezza, il soggetto che la esercita non potrebbe essere veramente persuaso che la realtà artificiale sia autentica. Dialetticamente, la volontà deve diventare negazione della negazione, quindi piena affermazione della positività contraffatta che emerge dalla distruzione e dalle macerie del passato oggettivo.

Quando la cancel culture nega se stessa affermando di non esistere, ci troviamo esattamente a questo stadio. E' una fase piuttosto avanzata dell'affermazione di un'ontologia di regime che non va sottovalutata né minimizzata, nonostante appaia grottesca agli occhi di chi ancora non è familiare al bispensiero. Finché non ci rendiamo conto che la distruzione degli emblemi del passato e la riscrittura della storia mediante forme di revisionismo sempre più radicali e gratuite non sono il fine, ma il sintomo di un fenomeno che avviene in luoghi della coscienza collettiva molto più profondi e invisibili, non saremmo mai in grado di elaborare strategie di resistenza culturale davvero efficaci per far fronte all'urgenza storica. 






Il mito della caverna e il suo significato filosofico e morale

La condizione dei prigionieri nella caverna rappresenta la conoscenza delle realtà sensibili

[514A] «Dopo di ciò – dissi –, paragona a una condizione di questo genere la nostra natura per quanto concerne l’educazione e la mancanza di educazione. Immagina di vedere degli uomi­ni rinchiusi in una abitazione sotterranea a forma di caverna che abbia l’ingresso aperto verso la luce, estendentesi in tutta la sua ampiezza per tutta quanta la caverna; inoltre, che si trovino qui fin da fanciulli con le gambe e con il collo in catene in maniera da dover stare fermi [B] e guar­dare solamente davanti a sé, incapaci di volgere intorno la testa a causa di catene e che, dietro di loro e più lontano arda una luce di fuoco. Infine, immagina che fra il fuoco e i prigionieri ci sia, in alto, una strada lungo la quale sia costruito un muricciolo, come quella cortina che i giocatori pongono fra sé e gli spettatori, sopra la quale fanno vedere i loro spettacoli di burattini».

«Vedo», disse.

«Immagina, allora, lungo questo muricciolo degli uomini portanti [C] attrezzi di ogni genere, che sporgono al di sopra del muro, e statue [515A] e altre figure di viventi fabbricate in legno e pietra e in tutti i modi; e inoltre, come è naturale, che alcuni dei portatori parlino e che altri stiano in silenzio».

«Tratti di cosa ben strana – disse – e di ben strani prigionieri».

«Sono simili a noi – ribattei –, Infatti, credi, innanzi tutto che vedano di sé e degli altri qual­cos’altro, oltre alle ombre proiettate dal fuoco sulla parte della caverna che sta di fronte a loro?».

«E come potrebbero – rispose –, se sono costretti a tenere la testa immobile [B] per tutta la vita?».

«E degli oggetti portati non vedranno pure la loro ombra?».

«E come no?».

«Se, dunque, fossero in grado di discorrere fra di loro, non credi che riterrebbero come realtà appunto quelle che vedono?».

«Necessariamente».

«E se il carcere avesse anche un’eco proveniente dalla parete di fronte, ogni volta che uno dei passanti proferisse una parola, credi che essi riterrebbero che ciò che proferisce parole sia altro se non l’ombra che passa?».

«Per Zeus! – esclamò –. No di certo». [C]

«In ogni caso – continuai –, riterrebbero che il vero non possa essere altro se non le ombre di quelle cose artificiali».

«Per forza», ammise lui.

La conversione verso la luce e la visione delle realtà intelligibili

«Considera ora – seguitai – quale potrebbe essere la loro liberazione dalle catene e la loro guarigione dall’insensatezza e se non accadrebbero loro le seguenti cose. Poniamo che uno fosse sciolto e subito costretto ad alzarsi, a girare il collo, a camminare e a levare lo sguardo in su ver­so la luce e, facendo tutto questo, provasse dolore, e per il bagliore fosse incapace di riconoscere quelle cose delle quali prima [D] vedeva le ombre; ebbene, che cosa credi che risponderebbe, se uno gli dicesse che mentre prima vedeva solo vane ombre, ora, invece, essendo più vicino alla realtà e rivolto a cose che hanno più essere, vede più rettamente, e, mostrandogli ciascuno degli oggetti che passano lo costringesse a rispondere facendogli la domanda “che cos’è?’’? Non cre­di che egli si troverebbe in dubbio e che riterrebbe le cose che prima vedeva più vere di quelle che gli si mostrano ora?».

«Molto», rispose. [E]

«E se uno poi lo sforzasse a guardare la luce medesima, non gli farebbero male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso quelle cose che può guardare, e non riterrebbe queste veramente più chiare di quelle mostrategli?».

«È così», disse.

Ed io di rimando: «E se di là uno lo traesse a forza per la salita aspra ed erta, e non lo lascias­se prima di averlo portato alla luce del sole, forse non soffrirebbe e [516A] non proverebbe una forte irritazione per essere trascinato e, dopo che sia giunto alla luce con gli occhi pieni di ba­gliore, non sarebbe più capace di vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere?».

«Certo – disse –, almeno non subito».

La visione del mondo fuori dalla caverna culmina nella contemplazione del sole

«Dovrebbe, invece, io credo, farvi abitudine, per riuscire a vedere le cose che sono al di so­pra. E dapprima, potrà vedere più facilmente le ombre e, dopo queste, le immagini degli uomini e delle altre cose riflesse nelle acque e, da ultimo, le cose stesse. Dopo di ciò potrà vedere più facilmente quelle realtà che sono nel cielo e il cielo stesso di notte, guardando la [B] luce degli astri e della luna, invece che di giorno il sole e la luce del sole».

«Come no?».

«Per ultimo, credo, potrebbe vedere il sole e non le sue immagini nelle acque o in un luogo esterno ad esso, ma esso stesso di per sé nella sede che gli è propria, e considerarlo così come esso è».

«Necessariamente», ammise.

«E, dopo questo, potrebbe trarre su di esso le conclusioni, ossia che è proprio lui che produce le stagioni e gli anni e che governa tutte le cose [C] che sono nella regione visibile e che, in cer­to modo, è causa anche di tutte quelle realtà che lui e i suoi compagni prima vedevano».

«È evidente – disse – che, dopo le precedenti, giungerebbe proprio a queste conclusioni».

La difficoltà di adattamento e i rischi che corre chi rientra nella caverna

«E allora, quando si ricordasse della dimora di un tempo, della sapienza che qui credeva di avere e dei suoi compagni di prigionia, non crederesti che sarebbe felice del cambiamento, e che proverebbe compassione per quelli?».

«Certamente».

«E se fra quelli c’erano onori ed encomi e premi per chi mostrava la vista più acuta nel­l’osservare le cose che passavano, e ricordava maggiormente quali di esse fossero solite passare per prime o per ultime [D] o insieme e quindi mostrasse grandissima abilità nell’indovinare che cosa stesse per arrivare, credi che costui potrebbe provare ancora desiderio di ciò, o che invidie­rebbe coloro che sono onorati o che hanno potere presso quelli? Non pensi, invece, che acca­drebbe, quanto dice Omero, e che di molto preferirebbe vivere sopra la terra a servizio di un altro uomo senza ricchezze[1], e patire qualsiasi cosa, anziché ritornare ad avere quelle opinioni e vivere in quel modo?». [E]

«È così – disse –. Io credo che egli soffrirebbe qualsiasi cosa, piuttosto che vivere in quel modo».

«E rifletti anche su questo – aggiunsi –: se costui, di nuovo scendendo nella caverna, tornas­se a sedere al posto che prima aveva, non si troverebbe forse con gli occhi pieni di tenebre, giungendovi all’improvviso dal sole?».

«Evidentemente», disse.

«E se egli dovesse di nuovo tornare a conoscere quelle ombre, gareggiando con quelli che sono rimasti sempre prigionieri, fino a quando rimanesse con la vista offuscata [517A] e prima che i suoi occhi ritornassero allo stato normale, e questo tempo dell’adattamento non fosse af­fatto breve, non farebbe forse ridere e non si direbbe di lui che, per essere salito sopra, ne è di­sceso con gli occhi guasti, e che, dunque, non mette conto di cercare di salire su? E chi tentasse di scioglierli e di portarli su, se mai potessero afferrarlo nelle loro mani, non lo ucciderebbero?»[2].

Il significato complessivo del mito: l’Idea del Bene è principio ontologico, gnoseologico e normativo

«Sicuramente», ammise.

«Caro Glaucone – dissi –, questa metafora nel suo complesso [B] va adattata a quanto si è affermato in precedenza e così questo luogo che ci appare alla vista, deve paragonarsi al luogo del carcere, e la luce del fuoco che brilla in esso alla forza del sole. Se poi tu paragonassi l’asce­sa verso l’alto e la contemplazione delle realtà superne all’elevazione dell’anima al mondo intel­ligibile non mancheresti di sapere quello che è il mio intendimento, dato che è appunto questo che tu desideri conoscere; ma se poi esso sia vero solo iddio lo sa. Ad ogni buon conto, questa è la mia opinione: nel mondo delle realtà conoscibili [C] l’Idea del Bene viene contemplata per ultima e con grande difficoltà. Tuttavia, una volta che sia stata conosciuta non si può fare a me­no di dedurre, in primo luogo, che è la causa universale di tutto ciò che è buono e bello – e preci­samente, nel mondo sensibile, essa genera la luce e il signore della luce, e in quello intelligibile procura, in virtù della sua posizione dominante, verità e intelligenza – e, in secondo luogo, che ad essa deve guardare chi voglia avere una condotta ragionevole nella sfera pubblica e privata».

«Sono d’accordo con te – ammise –, almeno nella misura in cui mi riesce di seguirti».

«Allora – aggiunsi io –, concordi con me che non vi sia nulla di strano che persone che si sono elevate fino a tali vertici non vogliano più impegnarsi in imprese umane, ma che nel loro animo sempre siano attratti e sollecitati a tornare lassù. [D] E ciò è perfettamente logico, se ci si deve attenere alla metafora sopra illustrata».

«Certo, è logico», convenne.

Il disagio dei filosofi nella vita politica, spiegato alla luce del mito della caverna

«E poi – dissi – ti sembrerebbe strano se qualcuno che discende dalla contemplazione delle realtà divine ai fatti umani rischia di far una brutta figura, di apparire del tutto ridicolo, quando, muovendosi a tentoni, prima ancora di esser riuscito ad abituarsi alla presente oscurità è costret­to nei tribunali o in altro luogo a scendere in lizza solo per un’ombra di giustizia o per quel simulacro che proietta quell’ombra e a stare a discutere [E] sul modo in cui queste apparenze debbano essere interpretate da chi non ha mai visto la Giustizia in sé?».

«Non ci sarebbe proprio nulla da meravigliarsi», disse. [518A]

«Ma – ripresi – se uno ha un po’ di senno dovrebbe ricordare che ci sono due tipi di disturbi agli occhi con due cause diverse: quel disturbo che affligge la vista quando si passa dalla luce al buio e quello che l’affligge quando si passa dal buio alla luce.

«Ora, si deve immaginare che qualcosa di analogo succeda anche per l’anima, sicché quando se ne incontri una in difficoltà perché è incapace di vedere, non se ne dovrebbe ridere stolta­mente, ma prima bisognerebbe verificare se essa per caso non sia di ritorno da un mondo più luminoso e si trovi con la vista annebbiata perché non ancora avvezza all’oscurità, oppure se non stia passando da una condizione di maggiore ignoranza ad una di più viva conoscenza così da essere completamente trafitta da luce abbagliante. [B] In tal senso egli dovrebbe, nel caso di quest’anima, congratularsi con essa per quanto le sta accadendo e per la vita [che la attende], nel caso dell’altra dovrebbe aver compassione. E se proprio non potesse trattenersi dal ridere, sap­pia che, diretto a quest’ultima anima, il suo riso sarebbe comunque meno ridicolo che non se fosse indirizzato all’altra anima, quella discesa dall’alto e dalla luce.

L’educazione della intelligenza è una conversione all’Idea del Bene

«Conviene ritenere – dissi io – che, se quanto si è detto è vero, l’educazione non sia quale la dipingono alcuni che ne fanno professione. Dicono, infatti, che pur non essendoci nell’anima [C] la conoscenza, essi ve la immettono, come se immettessero la vista in occhi ciechi».

«Effettivamente lo sostengono», ammise.

«Invece – continuai –, il mio ragionamento mostra che questa facoltà presente nell’anima di ognuno e l’organo con cui ognuno apprende, proprio come l’occhio, non sarebbe possibile rivol­gerli dalla tenebra alla luce se non insieme con tutto il corpo, così bisogna girarlo via dal dive­nire con tutta intera l’anima, fino a che non risulti capace di pervenire alla contemplazione del­l’essere e al fulgore supremo dell’essere: ossia questo che diciamo essere [D] Bene. O no?».

«Sì».

«Di ciò, ossia di questa conversione – dissi io –, ci può essere un’arte, che insegni in che modo l’anima possa essere più facilmente e più efficacemente girata. E, quindi, non si tratta dell’arte di immettervi la vista, ma di metterci mano [per orientarla], tenuto conto che essa già la possiede, ma non riesce a volgerla nella giusta direzione, né a vedere quel che dovrebbe».

«Così sembra», disse.

«Dunque, le altre virtù che sono dette dell’anima può darsi che si avvicinino a quelle del cor­po – esse, infatti, non preesistono [E] al corpo, ma vi vengono in seguito infuse attraverso l’abi­tudine e l’esercizio –, invece, la virtù dell’intelligenza più di ogni altra, a quanto pare, è connes­sa a qualcosa di più divino, che non perde mai la propria potenza, ma diventa utile o giovevole [519A] o, al contrario, inutile e dannosa, a seconda della piega che le si dà. O non hai notato che l’animuccia di coloro che sono detti malvagi, ma che sono intelligenti, vede in modo penetrante e distingue acutamente le cose alle quali si rivolge, in quanto ha la vista non cattiva, bensì as­servita alla malvagità, di guisa che quanto più acutamente vede, tanto maggiori mali produce?».

«Certamente», disse.

«Pertanto – ripresi –, se ad una siffatta natura a partire dall’infanzia venissero tagliati tutt’in­torno questa specie di [B] pesi di piombo collegati con il divenire – e del resto sono essi che, attaccandosi a tale natura mediante i cibi, i piaceri e le mollezze di tal genere, trascinano in basso il suo sguardo –, e se, liberandosi da essi, si convertisse alla verità, ebbene questa mede­sima natura di tali uomini vedrebbe nella maniera più acuta anche queste cose, esattamente co­me ora vede quelle alle quali è volta».

«È naturale», ammise lui.

Il filosofo deve tornare nella caverna per aiutare gli altri a liberarsi

«E che? – dissi –. Non ti sembra che sia naturale e che sia strettamente connesso con quello che si è detto che gente ignorante e senza alcuna esperienza della verità non potrebbe mai ammi­nistrare [C] in un modo decente uno Stato; e che neppure lo potrebbero coloro che sono stati lasciati fino alla fine a studiare? I primi, in effetti non hanno nella vita neppure un ideale, ispi­randosi al quale poter conformare tutto il proprio comportamento sia in pubblico che in privato; gli altri, invece, fosse per loro, non prenderebbero alcuna iniziativa, ritenendo di essere migrati, ancora in vita, nelle isole dei beati».

«È vero», ammise.

«Pertanto – continuai –, sarà nostro preciso dovere di fondatori dello Stato costringere le na­ture più dotate a indirizzarsi verso quella che prima avevamo definito conoscenza massima – ossia la visione del Bene – e a [D] incamminarsi per quella erta salita. Però, sarà anche nostro dovere, una volta che siano arrivati in cima ed abbiano contemplato quanto basta, non permet­tere loro ciò che oggi è concesso».

«E che cosa è concesso?».

«Di starsene lassù – risposi – e di non voler più saperne di tornare dai compagni in catene, e di condividere i loro onori e le loro fatiche, grandi o piccole che siano».

«Ma, in tal modo – osservò – non rischiamo forse di trattarli ingiustamente, costringendoli ad una vita peggiore, quando avrebbero la possibilità di una migliore?». [E]

«Ed ecco, caro amico, che ancora una volta ti dimentichi che la legge non ha come obiettivo di privilegiare nella Città una sola classe, ma di fare in modo che ciò si verifichi in tutto lo Stato, creando consenso fra i cittadini con le buone o con le cattive, e facendo in modo che si scambino [520A] reciprocamente quei servizi che ognuno individualmente ha la possibilità di rendere alla collettività. Del resto il compito specifico della legge è quello di formare nella società non uomini che prendono ognuno la strada che vuole, ma cittadini che essa stessa può impiegare in funzione del consolidamento dello Stato».

«Hai ragione – riconobbe lui –, me ne ero proprio dimenticato».

Il filosofo terrà il comando per senso del dovere e per riconoscenza verso lo Stato che lo ha educato

Io, allora, continuai in questo modo: «Considera, Glaucone, che noi non tratteremo affatto in­giustamente coloro che sono divenuti filosofi che nasceranno nel nostro Stato, ma avremo buo­ne motivazioni da addurre, quando li forzeremo a prendersi cura e a difendere il loro prossimo.

«Diremo che quelli che sono come loro [B] negli altri Stati non partecipano alla vita della Città, e con tutte le ragioni, perché essi si sono fatti da sé, senza l’intervento del loro Stato; e chi si è fatto da sé e non deve nulla a nessuno per la sua formazione ha ogni diritto di non sentirsi vincolato a risarcire alcuno delle spese di mantenimento. Voi invece siete stati formati da noi, perché foste, come avviene negli alveari, per voi stessi e per l’intera comunità guide e sovrani: per questo avete avuto una formazione più elevata e più completa degli altri, per essere in grado di partecipare dell’una o dell’altra scienza. [C]

«Dunque, per ciascuno di voi, a turno, sarà un dovere scendere nelle case degli altri ed abi­tuarsi a scorgere gli oggetti avvolti dalle tenebre, in quanto, non appena vi sarete abituati a que­sta condizione vedrete assai meglio di quelli di laggiù e riconoscerete ciascuna immagine per quel che è e per quello che rappresenta proprio in quanto avete contemplato la vera essenza del Bello, del Giusto e del Bene.

«E così lo Stato potrà dirsi amministrato da gente desta e non trasognata, sia a nostro che a vostro vantaggio, mentre oggi la maggior parte delle Città è retta da uomini che si azzuffano per delle ombre e sono in perpetua rivolta per il potere, [D] come se fosse un gran bene.

«Ma in verità le cose stanno in tal modo: lo Stato che è amministrato meglio di ogni altro e più pacificamente di ogni altro, è senz’altro quello in cui detiene il potere chi meno lo desidera; viceversa, lo Stato che è retto peggio sarebbe quello che ha uomini di governo di natura opposta a questa».

«Esattamente», disse lui.

«E dunque, udite tali ragioni, pensi che i nostri pupilli oseranno disubbidirci e non vorranno fare la loro parte nella vita dello Stato, ciascuno per quanto gli compete, per poter convivere tutti insieme per lungo tempo in un mondo non indegno?». [E]

«È impossibile – rispose –, perché, dopotutto, noi proponiamo cose giuste a uomini giusti. Piuttosto, ciascuno di loro si avvicinerà al comando per senso del dovere, con un sentimento op­posto a quello che oggi hanno gli uomini di potere in ogni altro Stato».

Ed io continuai dicendo: «Questa è la verità, caro amico: potrai avere uno Stato ben gover­nato solo se riuscirai a trovare, [521A] per chi vorrà governarlo, un modo di vivere migliore del potere stesso. Effettivamente, è solo in una società siffatta che i ricchi avranno accesso al co­mando; ma non saranno i ricchi di oro, bensì di ciò di cui deve abbondare l’uomo felice: intendo dire una condotta di vita onesta e saggia. Ma se dei pezzenti avidi di trar profitto personale si avventano sul bene pubblico, con tutte le intenzioni di doverne strappare il proprio tornaconto, non ti sarà possibile avere una Città ben governata, in quanto, essendo il potere oggetto di di­scordia, una guerra fratricida e intestina prima o poi manderà in rovina i contendenti e con loro tutto il resto dello Stato».

«È la pura verità», riconobbe. [B]

«E sapresti tu trovare un’altra vita che ha in spregio il potere politico, che non sia quella dedicata all’autentica filosofia?».

«No, per Zeus!», esclamò.

«Ad ogni modo, bisogna rivolgersi al potere senza esservi spinti dal desiderio, altrimenti si andrà allo scontro con gli altri pretendenti».

«Come no!».

«E, d’altra parte, quali persone potrai spingere ad assumersi la responsabilità della difesa dello Stato, se non quelle che sono più ferrate sulle regole del buon governo, e si riservano ben altri onori e una vita migliore di quella del politico?».

«Nessun’altra persona», ne convenne.

[1] Omero, Odissea, XII, 489.

[2] Come era avvenuto per Socrate a cui Platone qui allude.

Platone