Dittatura del "genere". "Intollerante" tolleranza. Questo è il paradosso del nostro tempo. La focalizzazione del dibattito sulle questioni lgbt sembra aver escluso ex ante ogni critica o analisi.
Sono scomparsi il dibattito e ogni posizione contraria. Si tende però a guardare, come al solito, il dito e non la luna. Cosa si cela dietro tutto ciò? Cosa si nasconde sotto il candido velo dell'abbattimento delle differenze, della tutela e dell'uguaglianza a tutti i costi? Sradicamento. Profondo mutamento. Criminalizzazione del dissenso e degli istituti "tradizionali" che resistono al cambiamento.
Gli interessi che muovono la battaglia a cui assistiamo non sono semplicemente di natura politica, ma culturale. Il dispositivo legale che si cerca continuamente di perfezionare, serve a sancire una rivoluzione ideologica che si intende imporre in maniera definitiva, e a tutelarla, custodirla e difenderla legalmente.
In sostanza, si cerca di definire le categorie del gender per suggellarle all'interno di una legge la quale tanto le definisce come orizzonte, quanto le impone minacciando sanzioni se la loro messa in discussione si ritenga (arbitrariamente) possa causare discriminazione o violenza.
Al di là dell'opportunismo politico con cui certe battaglie ideologiche vengono rispolverate ad hoc da movimenti a corto di idee in momenti di scarso prestigio, è importante sottolineare che provvedimenti come quelli tipo il ddl zan o simili, che opportunamente interpretati possono spingersi a prescrivere pene e riabilitazione anche per reati di pensiero e di parola, sono assolutamente omogenei e funzionali alla nuova forma di totalitarismo del politicamente corretto che si va progressivamente instaurando.
Non è in discussione la necessità di punire violenza e discriminazione verso le minoranze, atti criminali per cui esistono già strumenti giuridici adeguati. Il problema fondamentale è che la questione dei diritti viene sempre più spesso impugnata per finalità che la esorbitano, utilizzandola come una sorta di cavallo di Troia etico - strumentalizzando così istanze legittime e su cui è più che lecito dibattere e interrogarsi - con l'intenzione di spegnere qualsiasi discussione sull'argomento, quasi non vi fossero alternative all'unico modo di intendere e affrontare i problemi, se non quelle proposte dal paladino di turno.
Noi riteniamo innanzitutto che il rischio connesso a prospettive legali di questo genere sia estremo, anche in vista di una sua possibile esportazione in altri ambiti del pensiero e del dibattito. Riteniamo inoltre che le minoranze stesse dovrebbero riconoscere la strumentalizzazione politica della propria battaglia per i diritti e dissociarsene, onde non alimentare quel clima di separatività che certa politica cavalca, in vista di un dialogo condiviso e realmente costruttivo, pena un acuirsi delle fratture sociali che non giova di certo alla propria causa e al clima sociale generale. Infine, invitiamo a riflettere se i modelli politici e legali di gestione del dissenso che si stanno sempre più affermando siano compatibili con l'idea di società che, secondo la propaganda, dovrebbero tutelare. Se non lo fossero, i motivi di queste battaglie sarebbero da considerare diversi da quelli dichiarati.
Davvero desideriamo che ogni voce critica, fosse anche la più scomoda, corra il rischio di non poter più parlare?