La storiografia deve essere revisionista per metodo, ossia debba costantemente discutere i propri prodotti e sottoporli al vaglio critico. Oggi si sente spesso parlare di revisionismo "in malafede", che evidentemente esiste e riguarda un certo stereotipo di "revisionista", ossia chi rivede la storia per finalità ideologiche o apologetiche. Per tale motivo spesso "revisionista" è associato al termine "negazionista" in relazione alle vicende della seconda guerra mondiale. Ma è un bias cognitivo indotto da una lunga tradizione di discredito sistematico di chiunque si avventurasse in maniera critica in certi territori storiografici. Non stiamo dicendo che non esistano manipolazioni storiografiche per fini ideologici passati per prassi revisionista, diciamo solo che il revisionismo come metodologia non può essere ridotto a tali posizioni e liquidato sistematicamente. In particolare, sosteniamo non si possa attribuire una intenzione mistificatoria a qualcuno fino a che questa non si sia manifestata chiaramente, anche se quel qualcuno tratta temi e questioni altamente sensibili.
Quello che ci preme sottolineare e porre all'attenzione è che la stessa rivalutazione della civiltà medievale, avvenuta circa trent'anni fa, è revisionismo, come la recente messa in discussione e reinterpretazione di alcune dinamiche risorgimentali, tanto per fare un paio di esempi. Se la storiografia non fosse revisionista, i nostri figli starebbero ancora a studiare su manuali che utilizzano categorie marxiste. Il criterio di falsificabilità e alla base dell'edificio epistemologico della scienza moderna: la storiografia, trattando l'individuale e l'irripetibile, non può essere ovviamente associata alle scienze sperimentali, eppure dovrebbe condividere con queste l' "intenzione" scientifica, ossia una comune visione di fondo, ovvero che non ci possono essere assoluti indiscutibili, e che se ci sono, essi sono sospetti perché denotano una volontà non scientifica, ma di altra natura. Noi la chiamiamo volontà "fondativa". Non sosteniamo che ogni volontà "fondativa" sia un male in sè: piuttosto è necessario sforzarsi di comprendere i moventi di tale volontà e valutarli alla luce della propria visione e del proprio sistema di valori. Quando una volontà "fondativa" tenta di legittimarsi su un assoluto storiografico sottratto alla possibilità di discussione scientifica, essa ci allarma. Soprattutto se dà luogo a un ordine e a un sistema di poteri verso cui siamo fortemente critici.
Le democrazie dovrebbero nutrirsi di tali posizioni, senza averne paura, se non hanno nulla da nascondere.