Possiamo fare molte analisi sul processo di disimpegno e disinteresse politico che coinvolge le nuove generazioni, ma sarebbe necessario partire da un punto che a parer nostro è centrale: la generazione che oggi è genitrice dei millennials (ovvero i nati tra gli anni '60 e '80) ha smesso di fare grande politica, ossia di confrontarsi su questioni fondamentali, su visioni del mondo totalizzanti, su grandi sintesi.
In pratica oggi si fa solo piccola politica, e
chi cerca ancora di coltivare visioni d'insieme di ampio respiro, radicali e
radicate, è marginalizzato ed escluso dal confronto. Quando si introducono nel
dibattito pubblico questioni che riguardano il senso e il valore, si percepisce
chiaramente che vengono avvertite dai più come una sorta di corpo estraneo, o
nel migliore dei casi ciarpame e residui di un linguaggio obsoleto che non
hanno più un luogo dove trovare collocazione.
Questa politica grigia, mediocre, insipida, non
può più attirare nessuno: le anime si nutrono di bellezza, di ideali e di
forza; hanno bisogno di qualcosa in cui sperare, di un'utopia da dipingere e
raccontare, di un'idea da amare e a cui votarsi. È evidente che gli ultimi
movimenti che hanno ottenuto ampia partecipazione e consenso li hanno ottenuti
sulla scorta di una reazione: li hanno guidati indignazione e livore,
principalmente. Su queste basi si costruiscono solo edifici di delusione: non
si allevano cuori.