Si avvicinano i tempi in cui una domanda che attualmente è confinata all'interno di ristretti circoli filosofici si imporrà all'opinione pubblica, perché l'inquietudine a cui da voce, non essendo più controllabile, diverrà condivisa. Il quesito riguarda i rischi di una tecnologia che invece che rendere liberi ed emancipati, incatena e controlla, in modi mai sperimentati dalle epoche che hanno preceduto l'attuale.
La tecnologia, ossia l'espressione progettuale e
produttiva della tecnica – in altre parole, la sua messa in opera – promette di
sollevare l'uomo dal giogo delle proprie limitazioni, fisiche e mentali. Le
possibilità umane, ci viene raccontato, sono direttamente proporzionali al
progresso tecnologico, tanto che una certa storiografia suddivide le età
dell'uomo in base alle tappe di tale sviluppo, quasi che la vicenda umana possa
essere risolta in un succedersi di conquiste materiali sempre più raffinate.
Nonostante questo modello sia all'apparenza
lineare, esso suggerisce, invece, una sostanziale discontinuità. Vi è infatti
un punto a partire da cui la tecnologia, che originariamente si presenta al
servizio dell'uomo, diviene un fine in sé e non più uno strumento. Tecnologia è
infatti sia il martello che prolunga il braccio umano amplificandone il
potenziale, che il robot che sostituisce l'uomo nella catena di montaggio.
Qualcuno dirà che non vi è differenza tra le due applicazioni tecnologiche; noi
sosteniamo invece che vi sia, e sia radicale. E' lo scarto che sussiste tra un
modello che vede la macchina al servizio dell'uomo, a uno che vede l'uomo come
terminale di un dispositivo che lo supera e lo sovrasta. Il mondo in cui la
macchina può progressivamente sostituirsi all'uomo, e non è più semplicemente
un coadiuvante, è il mondo in cui l'uomo è chiamato a collaborare con la
macchina, e pertanto ne è divenuto un prolungamento.
Tale discontinuità e forse ancora più evidente
osservando l'esperienza che fa del mondo l'uomo che possiede il binocolo
confrontata con quella dell'uomo che dispone del microscopio e del telescopio.
E' così irrealistico sostenere di essere giunti al punto in cui la nostra
percezione della realtà, costruita ed amplificata attraverso i dispositivi
tecnologici, non sia più propriamente umana, non essendolo più esclusivamente?
Pensare di rintracciare il momento esatto in cui, nella storia, si consuma tale invertimento, è ozioso se non fuorviante. La gradualità non elimina la discontinuità, e la discontinuità si avverte non nel dettaglio, ma nel processo considerato nel suo insieme. Possiamo tuttavia osservare che se la tecnologia prometteva di servire l'uomo, o almeno così pensava quest'ultimo, tale promessa non riguardava la tecnica, la cui essenza è di fenomeno epocale, e non contingente. Non è l'uomo a disporre delle epoche, ma viceversa, e colui che pretendeva di dominare la tecnica se ne riscopre oggi dominato. Se l'uomo è divenuto un terminale del dispositivo tecnologico, al punto che le macchine costruiscono e determinano la realtà in cui vive, chi ne detiene a qualsiasi livello il controllo possiede la chiave del governo efficace, finanche, ai gradi più alti, totalizzante. Rischio supremo, ma davvero inaggirabile? Tanto ingenuo e irrealistico è un pensiero che pretenda di eliminare le macchine, quanto doveroso e impegnativo è quello che si interroga sulle possibilità, già conosciute in passato, di una dimensione tecnologica subordinata all'umano, e compatibile con le sue esigenze di libertà e autonomia.