Impossibilità di capire una deriva totalitaria

L'IMPOSSIBILITA' DI PRENDERE ATTO DI UNA DERIVA TOTALITARIA: UNA CONSEGUENZA DELLA FEDE NEL PROGRESSO. 

Uno dei più grandi errori concettuali del nostro tempo, che costituisce anche il principale motivo per cui la palese deriva totalitaria assunta dagli eventi non è contrastata dalla maggioranza della popolazione, consiste nella cieca "fede nel progressismo".

L'idea della storia dell'umanità vista come un costante processo di miglioramento e di perfezionamento, l'idea di "progresso", appunto, ci viene trasmessa in primis nella scuola dell'obbligo, ed è universalmente condivisa ed assimilata nel nostro bagaglio culturale, facente parte di quei punti fermi che difficilmente vengono messi in discussione.

A grandi linee, la storia dell'umanità dagli albori fino ai giorni nostri è vista come un lungo passaggio dalla barbarie e dalla disorganizzazione fino al perfezionamento della civiltà nelle sue più perfette forme di consenso sociale.

La democrazia stessa viene considerata come la naturale evoluzione dell' organizzazione sociale, che nei millenni è passata da sistemi classisti ed oppressivi - monarchie, imperi, dittature - fino a forme di strutture comunitarie più libere, laddove il raggiungimento, infine, del potere esercitato direttamente dal popolo pone fine a millenni di ingiustizie.

Per molti secoli l'umanità ebbe una concezione differente del tempo: esso era visto come statico e ciclico, e vi erano realtà e situazioni che venivano considerate come facenti parte dell'ordine naturale delle cose, immutabili, fino alla fine dei tempi.

L'idea del tempo lineare, del progresso, è invece relativamente recente, e trae origine nel pensiero illuminista del XVIII secolo, l'epoca delle grandi rivoluzioni sociali e politiche, e venne in seguito trattata e consolidata anche a livello filosofico: a partire dall'idealismo Hegeliano, e lo Stato (nella sua accezione ottocentesca, quella da noi ereditata) visto come fine ultimo e massimo dell'organizzazione sociale, si è arrivati in tempi recenti alle conclusioni drastiche del politologo Francis Fukuyama, che addirittura sostenne che lo sviluppo storico e politico dell'umanità si poteva ritenere concluso verso il termine del XX secolo.

La fine della Storia, in altri termini, concetto che suscitò un grande dibattito agli inizi degli anni 90, in seguito alla pubblicazione del saggio chiave del pensatore statunitense.

L'idea quindi del progresso, ormai assimilata nel nostro bagaglio culturale quotidiano, presuppone che, per quanto imperfetta, l'umanità abbia superato nel corso della sua storia una serie di errori e di barbarie, perfezionandosi di volta in volta, e creando ogni volta società migliori, più libere, più aperte, più "progredite".

Si pensi solamente, per offrire l'esempio più noto, al modo in cui ogni qual volta si assiste ad un evento considerato incivile o "retrogrado" si usi l'espressione "ritorno al medioevo", con l'esplicita intenzione di rimarcare come la storia umana sia caratterizzata da un deciso avanzamento morale che ha lasciato alle spalle epoche oscure ed opprimenti in contrasto con un presente fatto di libertà, un presente che ha ormai superato tali idee prevaricatrici.

Il concetto di "progresso", e quindi di costante avanzamento in ambito civile, politico e organizzativo, assume ancora maggiore valenza quando si entra nel campo della scienza: il solo fatto che attualmente disponiamo di una tecnologia che ci permette azioni inimmaginabili nel passato viene visto come prova finale e definitiva del fatto che la concezione lineare e progressista della storia umana non può essere messa in discussione.

Questa forma mentale, questa convinzione, in realtà nasconde diversi punti deboli, e questo lo si apprende proprio studiando in maniera approfondita i vari periodi storici, scoprendo che l'evoluzione sociale umana nei millenni fu tutt'altro che lineare, e che ad epoche più o meno oppressive se ne alternarono altre maggiormente libertari, e così via, senza una conseguenzialità obbligata; tale convinzione ,infine, cela in sè un grande pericolo, e proprio nei nostri giorni ne abbiamo una chiara dimostrazione.

L'idea infatti che i periodi "oscuri" ed "oppressivi" facciano parte del passato, e la convinzione che ci si trovi in un momento storico in cui quelle che vengono considerate libertà acquisite siano irreversibili, porta la maggior parte della popolazione, che per ovvi motivi possiede una conoscenza limitata ed a grandi linee dei processi storici, a sentirsi "al sicuro" dinanzi a possibili derive totalitarie nel proprio tempo, non riconoscendone i segni nel momento in cui tali processi si presentano in forma embrionale, e neppure quando raggiungono uno stadio avanzato.

Vi è diffusa la convinzione che certi processi appartengano esclusivamente al passato, proprio perché felicemente abortiti dai percorsi storici e sociali e definitivamente accantonati.

Ecco quindi che quando i governi cosiddetti "democratici", e di conseguenza considerati per definizione "incapaci" di operazioni totalitarie, operano in maniera palesemente oppressiva, legalizzando la discriminazione sociale ed erodendo le libertà del singolo, quelle libertà fino a poco prima considerate "scontate", tale processo non viene riconosciuto nella sua palese natura repressiva.

La convinzione che determinati processi appartengano al passato, convinzione instillata dal mito condiviso del "progresso", rende incapaci di vedere la reale natura del sistema neo tirannico che va prendendo forma.

Carlo Brevi