I social, come qualsiasi altro strumento, non
hanno caratteristiche intrinseche che prescindano dall'uso che qualcuno ne fa.
Essendo dei contenitori, dipendono da come e con cosa uno li riempie. Certo,
chi li ha progettati poteva avere ben precisi e non sempre espliciti scopi,
diversi dall'interesse del fruitore ultimo; eppure anche in questo caso
rientriamo nell'orizzonte della strumentalità, laddove la strumentalizzazione
ne è una possibilità. In ogni caso, chi utilizza i social dovrebbe essere
consapevole che nel medesimo momento in cui sono strumento di informazione e
condivisione in direzione del mondo esterno, l'utilizzatore diviene visibile a
quel mondo che, grazie proprio a tale esposizione, ottiene un potere su di lui.
Non è comunque questa l'obiezione che più frequentemente viene mossa al mondo
dei social. In genere ci si lamenta del fatto che esprimano conformismo,
mediocrità e le tendenze più meschine, basse o riprovevoli del genere umano. A
questo si associa la critica che siano inadatti a trasmettere contenuti di tipo
culturale o a favorire un dialogo fecondo e costruttivo, privilegiando
costitutivamente gli aspetti più frivoli e commerciali dell'industria
dell'intrattenimento o lo sfoggio del peggior narcisismo auto-idolatrante.
Vi sveliamo un segreto. Se il paesaggio che i
social descrivono è orrido e desolante, è perché ci siamo circondati delle
persone sbagliate. Oppure, in alternativa, perché guardandoci allo specchio non
ci piacciamo. Vi è inoltre la possibilità che non si abbia nulla da dire, noi e
il prossimo che ci siamo scelti, e i social ce lo ricordino amplificando il
nostro vuoto pneumatico, che fa da contrappunto all'insaziabile ansia di dire
qualcosa per essere ascoltati, anche se si è privi di un messaggio. In
alternativa, ci si può risparmiare molte frustrazioni se si è consapevoli dei
limiti e delle potenzialità dello strumento che si utilizza. Non si abbatte una
montagna con un martello, ma con esso si pianta un chiodo. Se ci si limita a
piantare chiodi, se ne possono piantare di ottimi, al netto delle
strumentalizzazioni e del costante e inevitabile rumore di fondo che sempre ci
accompagna nella nostra quotidianità mediatica.
Perché diciamo questo? Perché le critiche del tipo
"facebook è uno strumento funzionale al sistema e proporre in una tale
piattaforma contenuti antisistema è paradossale", oppure "parlare di
filosofia, religione, e spirito sui social è fuoriluogo", o anche
"l'anticonformismo su facebook fa ridere", sono sostanzialmente
baggianate. I social siamo noi. Ci rivelano per quello che siamo, anche se ci
nascondiamo. Se abbiamo un messaggio, e sappiamo portarlo a chi è capace di
ascoltarlo - nei modi in cui è possibile comunicarlo mediante lo strumento che
ce ne offre la possibilità - quello che abbiamo da dire arriva: ne abbiamo
evidenza tutti i giorni. Può darsi, invece, che si scopra di non aver nulla da
dire, o che non siamo in grado di dirlo, e su questo i social sono impietosi,
così come lo sono nell'immagine dell'umanità di cui abbiamo scelto di
circondarci. Ma questo, di certo, non è colpa di nessuna piattaforma.