Marxismo e comunismo dell'epoca classica erano dottrine coerenti con i propri presupposti. Nutrite di antropologia giudaica, avevano introiettato l'idea dell'uomo colpevole e deietto, e la traducevano nei termini di alienazione e lotta di classe, in una visione escatologica profana in cui la società sarebbe stata infine redenta e salvata dalla propria miseria.
Non guardavano all'ignoranza e alla mediocrità del
popolo con disprezzo: esso era semmai da educare e salvare, non certo da
schernire o maledire. Erano consapevoli che il popolo era materia su cui
esercitare un'opera formatrice, in assenza della quale esso rimaneva amorfo,
anodino e selvaggio. Erano consapevoli anche che poteva divenire malvagio, se
lasciato a se stesso. Del resto, il popolo non poteva essere istruito perché la
"cultura" era prerogativa borghese: il comunismo, poi, quella cultura
da salotto tipica della borghesia la aborriva, e desiderava sostituirla con un
sapere concreto ed efficace, privo di vezzi e compiacimento.
Questa sinistra che vorrebbe togliere il
sacrosanto diritto al popolo di non essere null'altro che popolo, che lo umilia
quando non si esprime con un linguaggio adeguato, quando non è educato o
sufficientemente scolarizzato, quando ragiona con il sangue, il ventre o le
parti basse; questa sinistra che non vuole redimere o salvare, che condanna,
epura, censura e minaccia... questa sinistra altro non è che la borghesia che
prova vergogna di sé, la voce di una cattiva coscienza viziata che vorrebbe
mostrarsi virtuosa, e che si tradisce costantemente nel suo disprezzo per chi è
realmente debole, indifeso e manipolato nella società: il popolo stesso.
Quando la politica era ancora espressione di un
confronto, una dialettica e, perché no, di uno scontro tra visioni del mondo,
che si fosse di destra o di sinistra, la borghesia è sempre stata il nemico.