Il paradosso della tolleranza di Popper sostiene che se una società pone come proprio principio la tolleranza, e se lo persegue fino alle estreme conseguenze, finisce per essere soggiogata dagli intolleranti, ossia da coloro che ne negano il principio, ma che in base ad esso reclamano di essere accolti, ossia tollerati, in seno alla società medesima. La soluzione di Popper è appunto che una società tollerante, per la propria sopravvivenza, non deve tollerare gli intolleranti, ossia deve farsi a sua volta intollerante verso chi la minaccia.
Cavalcato ampiamente dai sostenitori di un modello democratico aggressivo e
autoritario, che desidera revocare asilo ad ogni posizione critica nei suoi
confronti, il paradosso della tolleranza sembra essere cosa ovvia a tutti
coloro che ne fanno una forma di legittimazione della propria militanza. Ciò
che stupisce è il modo in cui vi si attribuisce un qualche valore esplicativo e
giustificatorio che è evidente non possieda, quasi fosse in grado di
ripristinare un ordine razionale precario e discutibile confermandolo in modo
palese e inappellabile.
Il paradosso della tolleranza afferma in sostanza che per poter essere
tolleranti bisogna essere intolleranti. Da ciò si deduce che una società
autenticamente tollerante non può esistere, perché per esistere verrebbe meno
al principio che la definisce. Di fatto, siccome una società che si dice
tollerante esiste, ed è quella che invoca i paradosso della tolleranza per giustificare
la propria intolleranza, quella società mente: afferma di essere tollerante ma
non lo è; tollera in sostanza solo se stessa e ciò che ritiene non le nuocia,
come un qualsiasi altro ordine autoritario.
Se gli argomenti portati sopra vi sembrano desueti e vi mettono a disagio, è
perché siete assuefatti a una certa retorica del politicamente corretto. Non vi
sarebbe infatti ragione di stupirsi di quella forma di realismo politico che
ammette senza troppe fisime che all'origine del patto sociale, l'evento mitico
che fonda ogni ordine costituito, vi sia un atto di contenimento e repressione
delle forze disgregatrici, ossia un atto violento contro la violenza. Tale
crimine o peccato originario, che dir si voglia, è come l'ombra del diritto,
che sempre l'accompagna ma che mai vi si identifica, costituendone lo scandalo
e il pungolo critico. Il paradosso e il tragico sono all'origine del vivere
associato, e ogni società, tranne la nostra, se ne è fatta virilmente carico.
Solo l'anima bella della modernità ha rifiutato lo scandalo del patto sociale,
per scrollare da sé la responsabilità della violenza, e attribuirla interamente
a ogni altro ordine reso così immorale e condannabile.
Quanto scritto sopra esige da noi due considerazioni. Innanzitutto dovrebbe
indurci a mettere in discussione giudizi troppo affrettati su civiltà ed epoche
che, come la nostra, hanno difeso ciò che ritenevano fondante e permesso quanto
non lo metteva in discussione, secondo pilastri che non sono i nostri ma i
loro, come è giusto riconoscere se realmente rispettiamo il prossimo e la
diversità. Inoltre dovrebbe metterci in guardia dalla pretesa, nostra o di
chiunque altro, di essere immuni dalla tentazione di sopraffazione e
repressione che accompagna e accomuna ogni forma di vivere associato. Solo
l'ammissione che ogni società è costitutivamente violenta e conservativa
permette di disciplinarne, regolarne e contenerne le pulsioni più pericolose e
coercitive. Senza vergogna, senza cattiva coscienza.