Ogni sistema difende le proprie strutture, ma ancor di più le proprie regole di funzionamento. Prendiamo la corruzione nella polizia: se un reparto è particolarmente compromesso, dopo averlo difeso anche strenuamente, è possibile che si decida di sacrificarlo ai media e alla pubblica opinione per salvare l’immagine dell’intero apparato. Ma se si mettono in discussione le stesse regole che gestiscono il reclutamento, la formazione e l’operatività della polizia, in breve avremmo uno scontro armato. Nessuna struttura accetta di venire smantellata in modo pacifico.
Il danaro non esiste. Lo abbiamo
creato per facilitare gli scambi e migliorarci la vita. Nel tempo, attorno a
questo concetto teorico si è strutturato un vero e proprio Leviatano che vede
nelle Banche Centrali dei guardiani dell’ortodossia e nei gruppi finanziari
internazionali dei burattinai, mentre l’individuo medio da un lato non capisce
più nulla di queste dinamiche (da dove arriva il danaro? Di chi è? Perché ha un
costo? Chi lo paga? Il debito pubblico va ripagato? E a chi?) e dall’altro si
ritrova misurato dal danaro stesso in ogni sua espressione: misuriamo in danaro
quanto valiamo, quanto siamo realizzati, quanto ci divertiamo, quanto siamo
sereni, persino quanto amiamo qualcun altro. In sostanza, esistiamo secondo un
metro di cui ci sfugge ormai sia la natura che la gestione. E’ evidente anche
al più idiota dei profani che qui il problema è esistenziale: siamo diventati
schiavi di uno strumento nato per servirci.
Chiaramente
le strutture cresciute attorno al sistema monetario lotteranno con ogni mezzo
per impedire che venga loro anche solo parzialmente sottratto il dominio di
questo meccanismo, essi esistono in base alle regole che li definiscono. E
nessuna struttura accetta di scomparire in modo indolore.